Uhm, in attesa di potervi dare notizie precise circa le prossime uscite… rimettendo a posto sulla scrivania ho ritrovato la raccolta dei “post-pranzo con mal di stomaco” e mi sono messa a sfogliarli… non so bene perché dovrebbero interessarvi, ma ho deciso che, di cotali scritti, quest’oggi presenterò alle vostre regali signorie una terrificante prova di ciò che poteva talvolta accompagnare quella che, in anni universitari, chiamavamo imprudentemente ‘pausa pranzo’.
Se avete già sbirciato le altre, in passato, potete anche fuggire per tempo! Altrimenti se continuate lo farete a vostro rischio… perché state per scoprire qui cosa significava condurre in mia compagnia l’orrido pasto (la citazione è dantesca, se non erro, ma vi rassicuro che, sebbene il cibo non fosse granché, non era dello stesso tipo che il Sommo fece ingurgitare a Ugolino). Troverete infatti a seguire l’unico esempio di poesia di cui io mi sia resa, ohimé, colpevole.
E capirete perché ne parli in cotali termini soltanto… leggendolo.
Bè, insomma, il poetare non mi s’addice e, a mia ulteriore scusante, vorrei addurre il fatto che l’anno era davvero molto caldo e che il mio cervello stava probabilmente andando in pressione per eccesso di dati… ma ecco dunque l’aulica prova:
***
Titolo: Ode al Bombo
[versi decisamente liberi]
Ivi eravam sedute
Lì sulla scalinata fuor della Facoltà
Quando bombo volante avvicinossi
A un palo senza indicazioni
Orfano e solo (il palo e pure il bombo).
Zuzzurellò (oh, meravigliosa onomatopea) un poco lì intorno
Attratto da maionnaise, tonno et pomodoro
Prosciutto cotto et sottile fontina
Peperoni et mozzarella.
Infine sorvolocci in tutta calma
Librandosi verso d’aria il condizionator,
orgoglio della Facoltà (il condizionatore, non il bombo).
Appoggiossi e osservocci, orben,
Con l’occhio torbo e vuoto.
Fece minaccioso bzzz con l’ale
Ed il volo tosto riprese
Deciso a toccar le nostre teste tese
Prendendole per piste d’atterraggio.
Appesantito dal pasto poco saggio,
Mancocci allor,
E, comprese in orride urla di terror,
Sollevammo in corsa i nostri fondi
Dagli scalini tondi (mica vero, ma faceva rima)
E fuggimmo oltre l’auto parcheggiate
Ove Gino, Pino e Catullo (tre passeri per nulla solitari)
Banchettavan solerti al sole brullo.
Triste e ancor più solitario,
In preda a un dolore ereditario,
Il bombo in alto si levò, ronzante,
Al sol guardò e tosto si decise.
Ora il condizionator più non funziona
Né gocciola incessante ad ogni ora.
Un esanime bombo gigante,
Quasi un elefante,
Giace spiaccicato tra le pale
E un grido di acuto dolor
Giunge lieve dalla stanza:
‘Che caldo! Che afa!’
***
Sigh… come avrete notato il soggetto è tragico (ma ben poco aulico), le licenze poetiche (per nulla poetiche) abbondano, le rime (tutte pessime) scarseggiano e i risultati ancora di più. I commenti interni riportati tra prentesi sono coevi con l’opera.
Non so ancora per quale ragione io abbia voluto pubblicarlo qui, ma, siamo sinceri, è già tanto se…
…il mio orrendo poetar
v’ha indotto a sogghignar…
😉
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