“È lì che sono andati a finire i draghi. Giacciono… Non morti, non addormentati. Non in attesa perché ciò implicherebbe aspettative. Forse il termine che stiamo cercando è… quiescenti. Anche se lo spazio che occupano non è come lo spazio normale, sono comunque ammassati tutti insieme.[…] Potrebbero rammentare una scatola di sardine, se le sardine fossero enormi, squamose, orgogliose e arroganti. Forse, poi, da qualche parte c’è la chiave.” – Terry Pratchett, A me le guardie!, Salani
E in un posto simile, si potrebbe dire, a mio parere sono le storie.
Esistono, proprio come vecchi draghi, pressate come sardine, da qualche parte, in qualche luogo, forse definito dalla matematica o forse no. Probabilmente esistono anche se nessuno le pensa.
Sono lì, i foderi delle spade schiacciati tra micropile atomiche e bacchette magiche. Zucche contro navi spaziali, i gomiti degli investigatori che premono contro i calli delle più singolari ‘ricostruzioni’ di personaggi storici. Sono lì e aspettano. Aspettano che qualche imprudente trovi la chiave e apra la scatoletta per riversarsi fuori…
Ma se, scientificamente parlando, ogni volta che osservo qualcosa ne altero la struttura, allora si dovrà forse supporre che anche le storie, quando vengono osservate nel loro spazio dimensionale, sono soggette ad una sorta di principio di indeterminazione? Vengono alterate dalla nostra osservazione…?
E cosa accade loro quando si cerca di raccontarle?
Ciascuno di noi osservatori le vede e ciascuno di noi ha il suo modo di guardarle. Chi le guarda a occhio nudo, chi col microscopio elettronico, chi noterà questo, chi quello; a chi resterà in mente una cosa a chi un’altra. E se si dovrà raccontarle, si metterà l’accento chi qui, chi là. Ogni scrittore darà una sbirciata in quella dimensione e poi racconterà ciò che ha visto, descrivendolo a colori vivaci o in bianco e nero, in mezzotono o chissà come. Ma resta il fatto che la storia è quella…
Datemi dell’ingenua, però a me, dopotutto, piace pensare che la storia è già se stessa e si racconta da sola, passando attraverso le nostre dita come attraverso un colabrodo. Lasciando qualcosa a chi scrive e viceversa; lasciando qualcosa a chi legge e viceversa.
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