Dunque, dunque, dunque… eccomi a un altro sproloquione dei miei. Mi hanno suggerito un po’ di tempo fa di affrontare l’argomento “profezie” (ringraziate pure Piero per questo papiro!!!) e la prima cosa che dirò è che… trovate sicuramente molti articoli in merito in rete, alcuni dei quali molto ben fatti, e trovate anche tantissime opinioni e tanti modi di vederla, ai quali quindi vado solo ad aggiungere il mio. Troppo male non farà…
Detto questo, non so se le profezie e i predestinati vi piacciano o no, ma a volte rischiano di essere sovra-utilizzati o sovra-stimati in ambito fantasy, quindi focalizzerò per un istante l’attenzione su alcuni dettagli che spesso sono trascurati da chi li vorrebbe inserire in una storia. Dal punto di vista dello scribacchino, infatti, profezie ed eletti hanno pro e contro, come ogni cosa.
Punto primo: Sfaterò forse un mito, quindi sedetevi e respirate profondamente, ma anche se molte storie fantasy sono ricche delle suddette profezie e dei succitati ‘eletti’ – perché le profezie non possono fare a meno, pare, di puntare il dito contro qualcuno che si trova investito di enormi e soverchianti doveri e responsabilità – in realtà in nessun fantasy c’è necessità di una profezia. Magari sembra più facile partire da un antico oracolo, ma spessissimo non lo è affatto. Se lo si mette è perché l’idea piace ma, proprio per questo, deve avere il suo senso interno alla storia e non star lì solo perché ‘è così terribilmente fantasy’. Quella profetica infatti, non è una scelta che si può fare esclusivamente per aggiungere colore a una storia. Una profezia s’impiccia della storia, intossicandola fino alle sue radici. In effetti è quasi sempre frutto della brutta abitudine di qualcuno a voler sapere prima come andranno le cose… Ergo una profezia che si rispetti servirà a qualcosa di macroscopico (il tipico salvare il mondo, come pure predirne la distruzione ne sono solo esempi) e qualcosa di minore, almeno apparentemente. Ma per chi scrive la parte minore è la più importante. Può far maturare il protagonista, può farlo cambiare, metterlo in riga… sceglie chi ne scrive, ma deve servire a qualcosa a parte prevedere foscamente un futuro che gronda sangue e far tremare come gelatina le viscere del lettore, altrimenti è del tutto inutile.
Punto secondo: una profezia impone alcune scelte di carattere ‘sovrannaturale’. In un fantasy questo appare estremamente facile, visto che spesso si parla di magia. In ogni caso essa deve provenire da qualche parte, da una sorta di medium che vedeva il futuro attraverso una sfera di cristallo o in sogno, da Nostradamus, da qualcuno che ha viaggiato nel futuro e ha visto cosa accadrà, da una divinità che dispensa la sua saggezza (se vi piacciono i fantasy che mescolano il mondo degli dei a quello degli uomini). Comunque, occorre un legame forte con ‘il destino’. E questo apre un inquietante nonché filosofico passaggio sul Fato, sulla sua esistenza e su ciò che questo può significare nella nostra storia per i personaggi che vi credono… perché se prendiamo una ‘vera profezia’ e le diamo importanza fondamentale nel racconto, allora dovremo considerare che esiste in senso letterale un destino, quindi nulla di quello che l’eletto farà potrà alterarlo. Se non si fa attenzione, in questo caso, l’eletto stesso rischierà di muoversi come un soggetto programmato a distanza dagli eventi… il che gli toglierebbe il ruolo di protagonista che invece in genere ha. La visione che si sceglie scegliendo il tipo di profezia, quindi, dovrà far parte della storia nello stesso modo in cui ne fa parte la sfilza di rime più o meno baciate che si usano per annunciare il futuro. Insomma: se si inserisce una profezia occorre fare attenzione alle implicazioni perché ci diamo da soli dei confini, anche se apparentemente impalpabili.
Punto terzo: Fortunatamente una profezia ci lascia anche qualche libertà. È infatti generalmente antica e criptica, tanto che semina sempre dubbi sulla sua interpretazione a proposito del da farsi e della persona o delle persone di cui parla. Altrimenti sarebbe come una ricetta medica: prendere una tisana di mirtillo due volte al giorno dopo i pasti e il problema – qualunque sia, persino il cattivo che vuole cancellare il Natale – sarà risolto, il che non fa al caso nostro. La libertà che le profezie lasciano all’autore è limitata ma c’è. Si può scegliere in una rosa di opzioni a cascata. Esempi? Il presagio può essere noto solo a pochi o a tutti, anche al nemico (che tenta in quel caso di intralciare i piani dell’eletto); può essere noto o meno al fortunello in questione (che potrebbe sentirsi come un topo in un labirinto). E se ne è a conoscenza, occorre avere chiaro cosa pensa della profezia. Potrà affidarcisi totalmente, accettarla e seguirla come una mappa del tesoro, potrà sentirsi investito del dovere come una sorta di sacro cavaliere o rifiutarla con sdegno; avrà insomma a sua disposizione molte scelte, ma in ogni caso avrà una spada di Damocle che gli pende sulla testa e questo è il punto focale. Perché di solito le profezie non dicono tutto. Sono dannatamente reticenti.
Detto questo, che vale abbastanza in generale, è piuttosto chiaro qual è la cosa più importante. L’eroe.
Lo chiamo eroe e non ‘eletto’ o ‘predestinato’ perché come ho detto prima, una storia fantasy non deve contenere necessariamente una profezia. Men che meno un predestinato. È la mia opinione, sia chiaro! Doveri e soverchianti responsabilità (se fanno parte della storia) possono venire dal passato del nostro personaggio; da errori commessi da lui o da altri (i nostri errori ci rendono quel che siamo, non è così che diceva qualcuno?) e a cui egli vuole tentare di riparare; da ingiustizie subite e che vuole evitare altri subiscano. Il senso di obbligo che proviene dall’alto o da un destino superiore può provenire da ben altri obblighi, imposti dalla sua storia o da una serie pressoché infinita di possibilità. Inoltre la bellezza dell’uomo qualunque che trova in sé il coraggio di fare qualcosa di straordinario contro ogni aspettativa, persino sua, ha un fascino se possibile ancora maggiore. La profezia dunque non è indispensabile. E così l’eletto.
Ma lo è l’eroe.
Immagino di trovare tutti d’accordo nel dire che un ‘buon’ eroe (non necessariamente un eroe buono) è irrinunciabile per una buona storia. E quindi guardiamo bene questo ‘eroe’. Innanzitutto bisogna capirsi su cosa si intenda per eroe. Nella mitologia ad esempio era spesso qualcuno nato da una divinità e un essere umano e per questo dotato di capacità sovrannaturali con cui compiva gesta incredibili. Questo diminuiva il valore delle sue scelte? Compiva quelle gesta perché sapeva di potercela fare senza grande pericolo? Perché cercava la gloria? L’attenzione da parte del suo superiore genitore? O forse cercava l’accettazione da parte degli uomini? Che valore poteva avere per qualcuno così superiore agli altri uomini il loro riconoscimento? O magari sentiva la responsabilità del potere che possedeva? A voi la scelta di come interpretare le cose, ma in ogni caso, col passare del tempo, la parola ‘eroe’ è diventata un termine usato per descrivere chi lotta con grande coraggio e generosità, fino a sacrificarsi in prima persona per una ragione o un ideale che ritiene giusto.
Ora, siccome parliamo di fantasy, potete tranquillamente avere un eroe semi-dio se gestite con attenzione la trama, tuttavia, a meno di non voler andare a ripescare l’umanizzazione delle divinità, esse sarebbero incomprensibili per la piccola mente degli uomini, rendendo in parte incomprensibile anche lui, distante e difficile da comprendere per gli altri personaggi della storia. Il soggetto ha del fascino ma è estremamente difficile, molto più di quanto sembra a prima vista. Quindi mettiamole da parte e ‘smitizziamo’ l’eroe.
Se il nostro personaggio non è un semi-dio può avere determinate capacità che provengono dal suo lignaggio, da qualche caso fortuito o da capacità o difetti suoi, perché no? Se nel mondo fantasy che creiamo c’è magia può essere particolarmente capace in questo ambito o essere un guerriero che può avere, nella migliore tradizione, una spada dai poteri incredibili, o magari essere solo uno spadaccino abilissimo o un arciere leggendario. Considerate Robin Hood un eroe, scommetto, ma non aveva alcun ‘superpotere’, anzi, se prendiamo la cosa alla lettera, era un brigante… In realtà quindi il nostro personaggio non ha bisogno nemmeno di poteri speciali, o di ‘gadget’ modello Excalibur per essere un ‘eroe’, nemmeno in un libro fantasy… gli basta lottare con coraggio e generosità dedicandosi a qualcosa di importante… gli eroi dell’antichità erano chiamati così perché compivano gesta, non perché avevano grandi capacità e poteri sovrannaturali anche se quelli, magari, permettevano loro di sopravvivere… non fu un superpotere a salvare Perseo da Medusa, ma la sua intelligenza.
Non sto per questo dicendo che valga la pena eliminare tutti i riferimenti ‘speciali’, i poteri, le predestinazioni, o le armi leggendarie da un racconto fantastico, anzi. Sto solo dicendo che non sono sempre necessarie. E che vanno scelte con oculatezza. Misurate e dosate, perché queste scelte influenzano la storia e come la raccontiamo.
Se si vuole parlare di un eroe, insomma, prima di tutto occorre guardarlo da una diversa angolazione rispetto al fatto che sia figlio di una divinità o nato da una pietra o che so io. In effetti, altri non è che un personaggio della storia, spesso quello principale ma non sempre; è innegabilmente necessario in un intreccio fantastico, è un cardine dello svolgersi degli eventi, ma è un personaggio. E bè, anche ‘personaggio’ è una strana parola, curiosa. Viene dal latino persona, che a quel che mi risulta proviene dall’etrusco phersu, che stava per ‘maschera’. Questo dice molto su ciò che è un personaggio e su come viene percepito. Possiamo dire che ogni personaggio ha un ruolo all’interno della storia e, per quel ruolo, indossa una determinata maschera, ma a meno che non ci riferiamo alla Commedia dell’Arte, coi suoi ruoli ben definiti e i personaggi fissi, ogni maschera ha intagli e sfaccettature tali che nessun eroe è uguale al precedente. La sua storia e il suo passato lo definiscono.
Quello che si fa scrivendo del nostro benedetto eroe, allora, è guardare dietro la maschera. Che la indossi come una protezione o che la porti senza saperlo, l’eroe ne ha una e per farlo conoscere a chi legge dobbiamo spezzarla, frantumarla. Solo a quel punto mostreremo non il personaggio ma la persona, con le sue debolezze, e potrà essere l’eroe che affronta tutto per amor di giustizia, l’eroe che non vuole essere un eroe ma si decide a fare un passo avanti perché non c’è altra scelta. O perché non c’è nessun altro che lo farà al posto suo. L’eroe che vuole riscattarsi da un tremendo passato o quello che capisce solo a un certo punto di voler cambiare strada e ha il coraggio e la forza per farlo. Ma non qualcuno che non ha incertezze e che sa tutto. Perché l’eroe è quello che si smarca dal destino che gli è stato cucito addosso, quando necessario. Che non accetta il ruolo che il mondo in cui vive gli attribuisce e viaggia metaforicamente da solo. E che si è abituato a opporsi a ciò che disapprova, anche se ciò lo esclude da tutto e da tutti.
Sì, lo so. Un personaggio così è difficile da delineare senza scadere nell’ovvio, nel banale e nel trito o nel lacrimoso privo di senso, ma vale la pena provarci. E per un eroe del genere, a parer mio, una profezia non cambia nulla. È una pura scelta di chi racconta. Piace o non piace ma di sicuro non c’è da abusarne. Perché in ogni caso deve essere l’eroe (in senso letterario e non) che decide la sua storia, che qualcuno l’avesse previsto o no. Fino alla fine.
L’eroe infatti è quello che traccia un sentiero. Apre una pista per gli altri.
Sarà per questo che, a meno di non poterle usare in modo insolito o per un percorso particolare di ‘crescita’, perché servono in qualche modo nella gestione degli eventi o possono essere difficilmente interpretate, o magari perché sono servite per dare speranza prima dell’arrivo dell’eroe, non uso troppo le profezie e gli eletti. Sono cose, da un certo punto di vista, passive, che vengono subite dai personaggi e non fatte.
Mi piace di più pensare a questi personaggi difficili da tratteggiare, ‘gli eroi’, perché scelgono da soli cosa fare e perché dietro le loro maschere non sono perfetti, non sono senza macchia e ancor meno sono senza paura, perché sanno cosa significa essere codardi ed essere traditori, magari, e lo stesso sono quelli che nel momento critico si alzano e vanno a lottare da soli contro una tempesta dalla quale tutti gli altri, persino quelli che li hanno additati e condannati, certi di tutto, fuggono.
Per concludere, ciò che è più importante, secondo me, è che sono loro che scelgono e non che vengono scelti. Antiche profezie o no. Altrimenti sarebbero solo burattini in mano al destino. O, nel nostro caso, al folle scrittore alla sua scrivania…
😀
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