Dunque, lo so che fa caldo, ma era da un po’ che non vi facevo annoiare con qualche discorso sul genere di cui prevalentemente mi occupo, il fantastico (e magari speravate che mi fosse passata, dite la verità! Ahivoi, temo di dovervi deludere, damigelle e messeri!), e stavolta vorrei iniziare il mio sproloquio facendovi una domanda:
‘Che c’entrano le invenzioni con il fantasy?’
Mi è capitato che mi facessero questa domanda un po’ di tempo fa, a dire il vero con aria vagamente superiore, quasi seccata. Sono rimasta un po’ perplessa, però non mi sono persa d’animo e ho provato a spiegarmi. Bè, non è stata cosa facile. Ci avrei messo probabilmente meno a scrivere un intero libro e per questo ora vi trovate davanti il solito papiro… Il punto principale della mia perplessità è che per me quello del fantastico è un territorio così vasto da ospitare tutto, e con tutto intendo davvero tutto.
Quindi partiamo dalla domanda e da come si intende la parola ‘invenzione’. Si può pensarla come qualcosa di puramente letterario, l’invenzione magica o simili, letteralmente la trovata particolare, ma si può anche pensare all’invenzione come viene identificata più recentemente. Ovvero come ritrovato tecnologico, la famosa lampadina di Archimede Pitagorico e, anche in quel caso, può essere al servizio di questo genere come lo è di qualsiasi altra cosa…
Forse la penso così perché, per quel che mi riguarda, tra i miei strumenti di lavoro quotidiano ci sono ‘possibilità’ e ‘assurdo’. Si deve forse scrivere le sole cose ‘reali’ nel senso tangibile del termine? Si devono forse solo immaginare storie ‘vere’ o più correttamente, apparentemente più plausibili…? Se così fosse, Ulisse non avrebbe mai accecato Polifemo e molte fantastiche invenzioni (tecnologiche o meno) non avrebbero mai visto la luce. Questo perché il pensiero creativo è utile e direi indispensabile in ogni ambito della vita! Anche nel campo del fantasy, il fulcro è sempre l’umanità e la psicologia del personaggio, per quanto inumano possa essere… per il resto non c’è alcun punto fermo se non quelli che gli autori stessi via via definiscono. È possibile invece esplorare moltissimi punti di vista da cui spesso non guardiamo le cose e che invece l’impossibilità apparente di questo genere ci aiuta a vedere in modo più intuitivo. In primo luogo però dovremmo essere consapevoli che non ci sono punti immutabili in niente, nemmeno nella scienza (che non è un blocco inalterabile ma è viva, a questo serve la ricerca), di cui definiamo continuamente nuovi confini. Tanto per citare una frase di Asimov che credo di avervi già detto:
“In ogni secolo gli esseri umani hanno pensato di aver capito definitivamente l’Universo e, in ogni secolo, si è capito che avevano sbagliato. Da ciò segue che l’unica cosa certa che possiamo dire oggi sulle nostre attuali conoscenze è che sono sbagliate” – da Grande come l’universo, Saggi sulla scienza.
Il che ci fa sorridere perché è una verità ovvia. Dicevamo che il mondo era una frittella finché qualcuno non ha dimostrato che invece era sferico; ci consideravamo al centro del sistema solare prima che qualcuno dimostrasse che invece lì c’era il sole e che noi gli facevamo il giro intorno e così via. Se prendiamo matematica e geometria, nello spazio a due dimensioni valgono certe regole, in quello a tre se ne aggiungono altre, in quello a quattro altre ancora.
È lo stesso col fantastico. O meglio, con l’invenzione in genere.
Quando sir Arthur Conan Doyle, inventore di Sherlock Holmes, gli faceva studiare e riconoscere a occhio la cenere sulla giacca del sospettato, notare il tipo di fango sulle scarpe e le migliaia di minuscoli indizi che agli altri sfuggivano, oltre a ispirarsi, se ben ricordo, a un suo professore, faceva qualcosa di nuovo e non considerato fino ad allora. Portava al limite il pensiero logico-deduttivo. Era qualcosa che appariva ‘esagerato’ allora, anche se poi si è sviluppata l’analisi scientifica delle prove… all’epoca quindi in realtà Arthur Conan Doyle, che non aveva a disposizione strumenti come quelli attuali, stava facendo qualcosa di più che scrivere un giallo con approccio alla CSI. Scriveva di un’invenzione. Lo stesso faceva Verne col suo Nautilus in campo fantascientifico, e solo per citare una delle sue trovate più famose.
Questo per dire che spesso sembriamo dimenticare che ciò che chiediamo all’autore che prova a raccontare una storia è di fare sotto i nostri occhi una sorta origami. Da un foglio di carta, tramite piegature e incastri, creare qualcosa di ingannevole che al nostro cervello ricordi un cigno o magari un ranocchio. Ovvero: creare un’ illusione. E di più, un’illusione ‘attendibile’.
E questo a ogni scrittore, a maggior ragione uno scrittore di fantasy.
Per quel che riguarda me, si può dire che quando descrivo un mondo mi sento un po’ come un prestigiatore, che cerca di distrarre l’attenzione dello spettatore dal vero trucco per fargli guardare altro, in modo che non si accorga dell’inganno. Comunque la vogliate vedere, il prestigiatore e, ancora meglio, l’illusionista cerca sempre trucchi nuovi, tuttavia non può inventarne nessuno se prima non ha appreso bene come fare i ‘vecchi’; lo stesso vale per il fantastico e chi ci si diletta. Impiegare del tempo a conoscere i ‘vecchi trucchi’ non è una perdita ma un grandissimo valore. Con un bel po’ di preparazione i vecchi trucchi riescono sempre e sempre stupiscono e divertono, perché sono dei classici. E, proprio per questo, chi vi ricorre deve essere sciolto, bravo. Imbrogliarci. Renderci impossibile scovare il trucco. Questo gli chiediamo assistendo al suo spettacolo. Anche se sappiamo che lo sta facendo, anzi proprio per questo.
Descrivere strane ‘invenzioni’, quindi, significa saper raccontare storie di gusto completamente nuovo (ma anche storie di gusto del tutto vecchio) solo quando ci si è esercitati abbastanza col trucco della moneta ovvero con le cose già raccontate – coi classici del genere e non solo – e quando si è trovato il proprio sistema di farlo in modo accettabile. Ma per sapere cosa è già stato raccontato bisogna leggere tanto e farsi un’idea propria o, preferibilmente, molte idee.
Un po’ di tempo fa in un’intervista mi hanno chiesto una definizione di fantasy e sebbene ce ne siano molte, l’unica semplice ed essenziale per me resta una sola; se si racconta una storia che ha anche solo un dettaglio insolito, apparentemente inspiegabile o ‘magico’ e che mescola queste caratteristiche con altre a noi invece ben note, allora siamo di fronte a un fantasy. Ve ne sono di diversissimi, li si possono nominare in cento modi diversi, distopie, fantasy epici, dark o come volete, ma sempre di fantasy si tratta! E come artigiani di questo genere, possiamo scegliere di gettarci a scoprire nuove strade o seguire quelle maestre ma non possiamo far finta che non esistano mille e mille strade percorse già da altri nemmeno se non le usiamo, perché ogni invenzione si nutre della strada fatta sino a quel momento. Prima di riuscire a costruire una macchina dovrò aver capito come funziona la ruota, insomma, e un bel po’ di altre cosucce…
Nel nostro caso nessuno di noi parte dall’inizio dei tempi, prima che la prima storia fosse raccontata e chi ascolta ha già sentito tantissimo. Come chi assiste a uno spettacolo del prestigiatore ha già visto centinaia di volte il trucco della moneta. O chi va a teatro ha già visto centinaia di volte Shakespeare o Pirandello ma non per questo rinuncia a vederne nuove interpretazioni.
Quindi, se decidiamo di avventurarci su una di quelle strade, di fare un nostro origami, pieno di citazioni o no, pieno di originalità o no, dobbiamo cercare di farlo in modo ‘leale’; purché rispettosamente, potremo ‘citare’ le nostre fonti di ispirazione facendo loro un silenzioso omaggio senza aver paura della nostra ombra, e potremo ‘giocare’ con le cose con cui altri prima di noi hanno giocato, perché solo così potremo divertirci e far divertire.
Alla fine voi sapete benissimo quel che state guardando e chi fa l’origami non cerca di farvi credere che il cigno che ha realizzato è fatto di piume e penne vere. Vi mostra solo una figurina, magari fatta con la carta di una caramella, ma bellissima comunque. Vi mostra la sua piccola invenzione in sé, magari minuscola, e spera che vi piaccia. Ecco tutto.
Quindi, se avete resistito sino a questo punto senza assopirvi, la mia risposta alla domanda all’inizio dell’articolo è: “sì, l’invenzione c’entra col fantasy. Anzi, il fantasy è invenzione, e deve sfruttare invenzioni, per definizione”. Ma questa è la mia risposta.
Alla prossima!
😀 😀 😀
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