Dunque… era un po’ che non vi annoiavo con discorsi pseudo-scrittorii e così, visto che uno di voi affezionati mi ha stuzzicato, eccomi qui a tediarvi. Il suddetto argomento è tosto e spaventevole, chi tra voi scrive lo sa bene e probabilmente più che bene! Vediamo da dove posso cominciare… ma come al solito, non prendetemi troppo sul serio, mi raccomando!!!
Ebbene, ecco, sì. Credo sia opportuno partire descrivendo il problema. Il che significa distinguere tra i diversi tipi di Blocco – ahimè, sì, ce ne sono diversi e non so nemmeno se l’elenco qui riportato sia completo.
a) Il blocco in incipit – altrimenti detto ‘panico da pagina bianca’.
b) Il blocco in medias res – altrimenti detto ‘angoscia da progresso inatteso’.
c) Il blocco in explicit – conosciuto anche come ‘smarrimento da conclusione’.
d) Il blocco notes – assai minaccioso… lo conoscono anche i non scrittori… ehm… lo so, perdonatemi per la battuta tremenda, non sono riuscita a resistere! 😉
Dunque… la prima cosa da dire è che non sono malattie. E che non esiste alcuna ‘cura’. Insomma, non si prende una pastiglia e tutto si aggiusta. Bisogna avere pazienza e lavorare senza arrendersi. Per la mia esperienza se si fa questo per lavoro o per hobby capita almeno una volta nella vita di incappare in uno dei suddetti blocchi. Se a qualcuno non è mai accaduto spero anche che non gli accada mai, ma per quel che mi riguarda c’è sempre un momento critico, in ogni libro, semplice o complesso che sia; è il famoso momento in cui ti domandi: ma che diamine sto combinando?
La risposta in genere è… AAAARGH!
Sopravvissuti alla shock del momento, bisogna prendere il toro per le corna. Veniamo dunque al dettaglio.
Non so dirvi molto a proposito del punto a) ovvero del panico da pagina bianca. Fondamentalmente se non ho una storia in mente non mi metto davanti a una pagina bianca (sullo schermo o sul notes), quindi difficilmente ho un blocco. C’è come sempre la difficoltà del partire con le prime parole… ma quella è una delle regole fondamentali della vita, più o meno. A quanto ho sentito molti si lasciano intimidire dal fatto che, se l’inizio è sbagliato – troppo lento, troppo veloce, troppo troppo o troppo poco – il fantomatico lettore futuro non procederà oltre… bè, in quel caso provate a pensare che, se non scrivete altro, di sicuro non procederà oltre. Potete anche provare a pensare che non state scrivendo su marmo e nulla di quello che scrivete andrà ai posteri per ‘l’ardua sentenza’ senza che l’abbiate rivisto circa un miliardo di volte (trovandoci sempre delle pecche inguaribili). Se continuate a lavorarci su, quindi, potrete ricorreggere, cambiare scena, punto di vista ecc ecc. Insomma… animo! Non c’è nulla di così definitivo in questo lavoro da bloccarvi quando ancora dovete iniziare. Se poi il terrore è quello che alla fine non vi piaccia il vostro stesso lavoro, a parte curare l’orgoglio ferito a posteriori, potete buttarlo via senza che nessuno lo sappia e decidere se vale la pena ricominciare da capo o no.
Veniamo al punto b). Quello lo conosco un po’ meglio. La cosiddetta angoscia da progresso inatteso colpisce una buona parte di noi… almeno tra quelli che scrivono con un bel prospetto a fianco ma che poi… seguono la storia. Talvolta, nonostante tutti i bei programmini iniziali, si finisce da tutt’altra parte – date la colpa a chi volete, ai vostri personaggi, o a voi che non sapete descrivere bene quel punto, quel pathos, quella reazione o quel paesaggio, ma non è un problema di colpe. È solo che ci si può trovare nell’imbarazzo di non avere idea di come descrivere quel che si ha davanti. Tutto quello che scrivete in proposito sembra terrificante e non va bene. Vi viene la tentazione di buttar via tutto e ricominciare da capo. Ora, non vi mentirò: a volte serve. È innegabile. È l’unica cosa che resta da fare. Buttare via tutto. Molto spesso però basta solo lasciare un po’ di tempo alla nostra povera cellula grigia solitaria che le cose si aggiustano. Prima di gettare tutto alle ortiche, quindi, ci sono due metodi che ho sperimentato:
1) Riprendere a rileggere tutto da capo. Una correzione a mente aperta aiuta vedere la storia dall’inizio, il che è comunque arci-utile dopo che si è arrivati a un certo punto; nel nostro caso poi può aiutare a sbloccare e scardinare, oltre che qualche errore, anche la porta blindata che ci si è trovati davanti.
2) Procedere come se nulla fosse. Se avete le idee chiare sul ‘dopo quella maledetta scena’ potete proseguire, lasciando un buco che colmerete appena vi sarà passata l’ansia e avrete le idee più chiare sul perché e sul se quella parte sia necessaria. Almeno per voi.
Se nulla di tutto ciò funziona (e non avete altre possibili soluzioni in mente), allora forse davvero il lavoro è da rifare. Ma tanto vale accorgersene. Bè, che dire? Prendetevi un po’ di tempo e, visto che siete cocciuti, ricominciate senza farvi problemi.
Infine c’è il cosiddetto ‘smarrimento da conclusione’. Punto c), esattamente.
Può avere diverse cause, la prima delle quali è il terrore del ‘cosa farò del mio piccolo libro di 2879 pagine appena l’avrò terminato?’ Contro questo, come ho già detto altre volte, c’è poco da fare se non prendere il coraggio a due mani, mettere la timidezza all’angolo e decidere se si vuole o meno importunare un editore. Nel caso siate al vostro secondo o terzo libro (ma non credo passereste di qui) potete avere anche il pensiero delle aspettative altrui in materia… di vostra zia Carolina come dei lettori. Possono essere davvero antipatiche. Ma non dovete farvene schiacciare. Ciascuno dei lettori vuole una storia, ciascuno immagina dettagli diversi. Ma voi dovete proporre la vostra o loro stessi non ve lo perdonerebbero mai. Se non è questo il vostro caso, può essere che non vogliate abbandonare il mondo e la storia che vi ha accompagnato per… che so… 2 anni della vostra vita. In quel caso provate a pensare in grande, tanto non spendete niente. Dopo avrete un sacco di tempo per arrovellarvi su un’altra storia e altri protagonisti, in quel mondo o in un altro. Non fate torto a nessuno, non tradirete nessuno dei vostri amati personaggi o dei paesaggi o qualsiasi cosa stiate pensando di tradire. Anzi, senza la magica parolina ‘fine’ non potrete andare avanti e tradireste i protagonisti futuri. Altra causa ancora? Bè, può essere il non voler affrontare la conclusione che il libro e la storia stessa ha costruito per sé attraverso le vostre dita. A volte capita. C’è una ragione per cui accade, sta solo a voi volerla vedere o no. Certo, potete aspettare a scriverla ma anche se passate ore a guardarla, non cambierà. Cercate di capire perché deve finire proprio così… modificate il prima se non riuscite minimamente ad accettare il dopo ’naturale’, ma tenete conto che in genere la storia sa cos’è meglio per se stessa. Sempre. E che anche voi lo sapete, anche se vi resta difficile ammetterlo. Siete voi che avete creato quelle premesse, no? Se niente di tutto ciò è il vostro caso allora forse, molto più semplicemente, la causa del blocco di tipo c) è che non volete mettere la parola fine per non essere costretti, rileggendo tutto, a scoprire che il vostro lavoro è venuto diverso da quel che volevate e che siete uno scribacchino molto diverso da quel che desideravate. Ehi! Non è in sé un male. E bè, provate a pensarla così… è il suo bello!
Detto ciò non saprei che altro aggiungere. Non ci sono consigli veri e propri da dare, né ricette. Ogni scrittore ha i suoi metodi di lavoro e le sue soluzioni e affronta il blocco o i blocchi in modo diverso per ogni libro. Il punto è affrontarli e non aspettare che si sblocchino da soli o che ve li sblocchi qualcun altro. Almeno… secondo me.
Quindi non mi resta altro da dire che buon lavoro! 😀
E ovviamente… FINE!
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