Ok, sarò sincera. Non sapevo se fare questo articoletto e anche quando mi sono decisa, non sapevo come titolarlo. Non volevo che il tutto suonasse un po’ insolente o istruttivo, perché in realtà non voglio insegnare nulla a nessuno, non ne sono in grado. Ma volevo che fosse un titolo chiaro e limpido. Un titolo che non barasse, perché indicava chiaramente quello che sarebbe seguito. In effetti un post del genere è diventato “necessario” nel tempo, dal momento che molti tra voi, per lo più giovanissimi, mi contattano nella posta del blog con domande che si possono riassumere nella generica e omnicomprensiva: come faccio a diventare scrittore?
In realtà, vi ringrazio per la stima, ma non lo so. E non credo che nessuno potrà mai dirvelo. Io non mi sono ancora resa conto se lo sia o no. Né mi sono abituata all’idea che il mio lavoro sia questo, ma prendendo alla lettera il significato della parola scrittore, come ‘colui che scrive’, lo sono (almeno per il momento), quindi quello che posso dirvi al riguardo è ben poco… ma lo scriverò qui di seguito.
Prima di tutto, la ricetta per fare lo scrittore (se ne esiste una) si basa su alcuni ingredienti fondamentali che sono:
i. abbastanza pazienza (e follia) da pensare di mettersi a scrivere una storia dopo aver passato qualche anno a leggerne, di storie;
ii. abbastanza pazienza (e cocciutaggine) da scriverla tutta, la storia che si ha in mente; il che implica perderci tanto, ma davvero tanto tempo sopra;
iii. abbastanza pazienza (e cocciutaggine) da correggerla tutta, con l’intento di scovarne i difetti, di trama e di narrazione;
iv. abbastanza pazienza (cocciutaggine e un altro pizzico di follia) per decidere di spedirla a un editore anche se si sa che è tutt’altro che perfetta e che non è un’opera letteraria di grande impronta. Ma che qualche pregio, dopo tutto, ce l’ha. Il che richiede l’essere abbastanza maturi e onesti con se stessi e con quello che si vuole dal libro… cosa spesso non facile.
L’intero processo, almeno per il primo libro, impegna in genere anni. Ora, avete notato qualcosa in comune tra questi ingredienti?
Tre parole ricorrono più spesso delle altre: pazienza, cocciutaggine e… follia. Va da sé che occorre averle tutte e tre, ma nella giusta misura. Un disequilibrio tra queste, infatti, darebbe luogo a un libro troppo affrettato, a un libro incredibilmente noioso o a un libro presuntuoso. E nessuna di queste tre cose va bene (almeno non nella narrativa d’evasione)!
Ora, siccome l’argomento è ostico, prima di procedere oltre, vorrei riportare un paio di citazioni che secondo me sono illuminanti.
Ricordo che quando lessi il Deserto dei Tartari di Buzzati, uno dei libri che amo di più, trovai nell’introduzione un’intervista all’autore in cui lui stesso diceva:
“Mi ero, sempre, reso conto benissimo che, se fossi stato artisticamente onesto fino in fondo, avrei dovuto continuare a scrivere questo libro per tutta la mia vita, o per lo meno fino all’avanzata maturità[…]. Capivo anche che la tensione narrativa, verso la metà, calava alquanto, che certi passaggi erano un po’ forzati, insomma una rielaborazione sarebbe stata molto utile” dalla Introduzione a Il Deserto dei Tartari, Dino Buzzati, Mondadori.
E vorrei citarvi anche un altro scrittore a me incredibilmente caro che per il suo secondo romanzo: The Stars like Dust, da noi tradotto in il Tiranno dei Mondi, dovette attraversare una fase di stesura lunga e molto travagliata. Gli occorsero ben tre stesure e per le prime due ebbe il critico rifiuto del suo lavoro da parte dell’editor. Alla fine della seconda stesura dei primi capitoli, Asimov stesso racconta:
“[…]bisognava ritentare. I capitoli che avevo consegnato mi furono restituiti con vistosi segni di matita rossi; scrissi nel mio diario: “Mi sento uno scrittore di fantascienza fallito” dalla Introduzione a Il Tiranno dei Mondi, Isaac Asimov, Mondadori.
Molto bene. Perché ho voluto citarvi questi passi? È molto semplice: se pensate di scrivere un libro, o l’avete già scritto, sappiate che il lavoro in realtà non è mai finito. Non lo sarebbe mai, almeno, se non ci decidessimo con un grave sforzo di volontà e lo presentassimo a qualcuno; anche vedendone i difetti. Se per dei grandi scrittori era così, lo sarà anche nel vostro caso. Lo è sicuramente nel mio piccolo. Vedo sempre correzioni da fare ovunque. Mi chiedo sempre perché io abbia avuto tanta fretta e così via…
Analogamente, la citazione di Asimov deve servire a farvi capire che tutti, anche i grandi, hanno dovuto lavorare e rilavorare al proprio scritto. E questo anche se erano persone adulte e mature, intelligenti e grandi artisti e anche se il risultato finale, e nel caso di Asimov “il Tiranno dei Mondi”, non è uno dei suoi libri più famosi e apprezzati. Il punto è che il suo umano ‘mi sento uno scrittore di fantascienza fallito’ può ricalcare il sentimento di ciascuno di noi quando e se un lavoro ci viene rifiutato.
A questo punto, però, salta fuori ciò che distingue uno scrittore in fieri da uno scrittore che non sarà certo mai pubblicato; lo scrittore in fieri infatti sarà deluso ma non si arrenderà. Certo gli servono gli ingredienti di cui sopra, ma un rifiuto lo porterà non a gettar via il suo lavoro ma ad aggiustarlo o addirittura a ricominciarlo. Sarà molto difficile che vi capiti che un editor legga il vostro lavoro e, folgorato, la mandi in stampa così com’è senza neppure la più piccola correzione e obiezione: se accade c’è qualcosa che non va. Quindi, se qualcuno dovesse manifestare un pizzico d’interesse per il vostro amato lavoro, preparatevi e sappiate che sarà soltanto l’inizio di un nuovo lavoro!
Detto ciò, quando si finisce di scrivere un libro, se lo si ama davvero non si può tenerlo chiuso in un cassetto a lungo, protetto e al sicuro dalle critiche, è vero, ma anche dalla possibilità di crescere, quando può. Insomma, gli si deve almeno un tentativo di spedizione… il che risulta in genere un’operazione complessa e molto coraggiosa. Una faticaccia, insomma!
Ma se anche si ottiene un rifiuto almeno si potrà pensare che ci si è provato!
Ora, come dicevo non sono in grado di dare consigli su come scrivere un libro a parte farvi osservare ciò che magari vi pare ovvio; posso però rispondere alle vostre domande (davvero molte) su come proporre il vostro lavoro. Il che non assicura risultati perché dipende dalla qualità dell’opera e da cosa gli editori cerchino in un determinato momento… tuttavia, nella prossima puntata, se l’argomento dovesse interessarvi, verrò al punto. Come spedire il malloppo in lettura. In pratica.
Un suggerimento nel suggerimento? Non consideratemi insopportabile, ma se ardete dal desiderio di spedire il vostro libro e sognate allori e gloria, pubblico che preme per entrare ed assistere alle vostre presentazioni, piogge di premi letterari, celebrità internazionale, giornalisti che fanno la fila per intervistarvi e magari un bel film hollywoodiano tratto dal vostro lavoro… prendete fiato e aspettate a spedirlo. Non siete pronti, secondo me. Aspettate sino a quando tutta questa illusione, questo miraggio e questo desiderio vi sarà passato. Sarete più lucidi e concreti (vd. ingrediente iv della lista). In realtà, infatti, non è questo che volete dal vostro libro e, se tutto ciò accadesse, dovete essere ben consci che sarebbe solo un ‘effetto secondario’ o, come dice qualcuno ‘un effetto collaterale’!
Non guardatemi in cagnesco, adesso e, se vi sembra che dicendovi questo io stia distruggendo miseramente i vostri sogni, pensate che, come diceva non ricordo più chi (e per la citazione vado a braccio),
“il modo migliore per realizzare i sogni è svegliarsi”
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