In attesa di altri commenti, se vorrete farne, sullo Stregone dei Venti (grazie ancora a tutti per quelli che mi sono arrivati, tutti bellissimi!) riprendo un po’ le fila degli articolozzi sul fantasy perché ho notato che alcuni li hanno seguiti con passione… e ci sono un’infinità di argomenti di cui parlare.
Ad esempio, se dico popoli e parlo di fantastico, cosa vi viene in mente?
Probabilmente eccovi lì che già pensate a elfi, gnomi, nani, driadi e a tutti gli stuoli di creature fantastiche più o meno conosciute! Ma che ne dite delle diverse possibilità di popolazioni e diverse culture (anche umane) all’interno del Mondo Fantastico? Voglio dire… se ci guardiamo intorno vedremo subito in quanti modi diversi gli uomini dei lontani continenti hanno sviluppato storie, leggende, modi di vivere… e parliamo solo di uomini. Analogamente si potrà supporre che accada nel caso dei popoli fantastici… Bè, se vi interessano solo le loro caratteristiche ‘fantasy’ sicuramente troverete molti libri e libriccini che ne parlano, molte citazioni già in antichi testi (letterari e non) e moltissime informazioni potrete trarle persino dalle più note fiabe.
Ve ne sono per lo più di unici e mitici, ma ve ne sono anche di appartenenti a popoli misteriosi di cui leggende, novelle e racconti ci descrivono le caratteristiche (a volte persino contraddicendosi le une con gli altri). Queste creature sono importanti per una storia fantastica, direte. E in un certo senso è così… quando leggiamo un fantasy è come se volessimo essere stupiti e stupore si declina meravigliosamente con l’apparizione di una creatura mitologica o l’incontro con una popolazione fantastica. Per questo quando leggiamo i fantasy moderni ritroviamo quasi sempre queste antiche creature, mutate in qualche modo a seconda dell’interpretazione dell’autore della storia, ma sempre presenti e, bè, ce lo aspettiamo!
Ma ci sono anche stupendi fantasy dove non abbiamo creature fantastiche tipiche o comunque per i quali non sono quelle le ragioni della bellezza del libro. Dove il fantastico risiede in altro e magari questo ‘altro’ dipende da qualche capacità o conoscenza che a noi appare speciale in una popolazione umana.
Insomma, popolo fiabesco implica senza ombra di dubbio la dicitura fantasy ma non vale sempre il contrario. Quello che intendo è che non necessariamente un fantasy ha bisogno di esseri sovrannaturali o di mitologia, quanto del mistero e della curiosità irrisolta che li circonda. In effetti nel libro fantasy, tomo o no, per ragazzi o meno, molti di quei misteri, degli usi e dei costumi li vogliamo spiegati, come se viaggiassimo davvero tra quella gente misteriosa e ne conoscessimo ogni caratteristica. E, per giusto che sia, questo in parte fa perdere del mistero a quelle creature. È il solito problema di qualcuno che smonta qualcosa per vedere come funziona… se poi non è in grado di ricostruirlo non ha fatto una gran cosa. Vero è anche che il cielo stellato non perde di poesia perché sappiamo cosa sono le stelle… quindi ci vorrebbe il solito ‘giusto mezzo’.
A parer mio, infatti, una parte del mistero sui popoli fantastici, una parte irrisolta e incomprensibile per noi esseri umani, fosse anche solo del loro carattere, va mantenuta. Per fare un esempio che tutti capirete, gli elfi di Tolkien li capiamo e allo stesso tempo ci sono distanti, irraggiungibili quasi. È l’idea del ‘fatato’ di Tolkien, niente di che.
Ora, se parliamo di elfi potremmo anche dire che dopo lo Hobbit e il Signore degli Anelli ne sono piovuti da ogni parte, e quasi tutti a immagine e somiglianza dei suoi. Questo perché il fascino e il mistero con cui li aveva portati nella nostra immaginazione ce li hanno resi personaggi intriganti, inutile negare… ma se guardiamo con attenzione troviamo che hanno orecchie a punta come i vulcaniani, una sapienza quasi illimitata sulle origini del mondo, una memoria lunghissima, vite altrettanto lunghe… e una saggezza e un’allegria che vanno di pari passo con la durata delle loro vite e che ci resta incomprensibile anch’essa.
Eppure se Tolkien si fosse fermato alla tradizione che andava per la maggiore ai suoi tempi avremmo avuto elfi piccoli e magari con le alucce, dediti a scherzi e a magie legate ai fiori o alle stagioni. O elfi come creature delle terra, quasi somiglianti a gnomi… e cattivi a volte!
Insomma, se si scrive di popoli fantastici è giusto trarre ispirazione dall’antico ma è giusto anche introdurre qualche ‘innovazione’… ecco l’esempio palese:
“In una caverna sotto terra viveva uno hobbit. Non era una caverna brutta, sporca, umida, piena di resti di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una caverna hobbit, cioè comodissima” inizio de Lo Hobbit, J.R.R Tolkien, nella vecchia edizione Bompiani.
Insomma, eccolo là.
Tolkien parte e ci fornisce subito l’immagine. La caverna. Poi ci mostra quello che dovremmo trovarci, che ci verrebbe subito in mente collegato alla caverna, in genere nulla di buono. E ci dice che non è così… ci lascia un attimo spiazzati e poi va all’opposto. Comodissima.
Il tentativo è quello di confonderci o farci ridere, inizialmente. Ma cominciamo subito a vedere gli hobbit attraverso il luogo dove abitano e poi ne conosciamo le usanze, l’allegria, la semplicità, la leggerezza, quasi (a dispetto dei numerosissimi pan di spagna sempre presenti nella loro dispensa!). Poi il coraggio e infine la capacità di sacrificio. Li vediamo molto simili a noi e ci immedesimiamo nella fuga di Bilbo dagli insopportabili Sackville-Baggins… o nella sua avventatezzaquando tenta di borseggiare i troll, o in quella di Frodo quando canta che la mucca saltò sulla luna… e combina quel che combina. Mentre leggiamo lo hobbit o il signore degli anelli noi viviamo in modo hobbit e così conosciamo anche gli elfi. Attraverso lo sguardo curioso e ammirato di Bilbo e Frodo li guardiamo e ne abbiamo l’impressione filtrata dai loro occhi, che però non sono in grado di capire tutto di quella misteriosa popolazione.
Come gli occhi degli elfi non capiscono in tutto gli uomini, e come quelli dei nani non capiscono hobbit o elfi e così via.
Ecco, tramite questi esempi ‘illustri’ volevo far presente che la conoscenza di un popolo fantastico in un libro fantastico è, insomma, molto complessa. Molto spesso ci limitiamo a pensare che basti prendere un elfo o un mezz’elfo per ottenere come risultato qualcuno che conosca usanze e cultura di entrambi i luoghi… ma non è obbligatorio prendere questa strada. Come non è obbligatorio considerare un elfo e, dopo aver letto di lui in Tolkien, Brooks o in mille altre salse, descriverlo come una creatura alta, elegante, con le orecchie a punta, piena di sapere, amante della musica e degli scherzi, abile con l’arco, in comunione con la natura e così via…
Come pure pensare a una strega non ci dovrebbe necessariamente far pensare alla matrigna di Biancaneve e una fata alla vecchia Smemorina. Né gnomo ci dovrebbe far pensare a un piccoletto alto una mela o poco più con un cappello rosso e a punta in testa.
Ogni popolo, quando raccontiamo una storia, avrà il suo perché, le sue usanze e le sue caratteristiche. Usiamo il già scritto a nostro vantaggio se ci riusciamo. Usiamolo per attinenze o per contrari, usiamolo inserendo novità, ma quello che importa è che non la consideriamo una regola. I popoli fantastici sono descritti non solo da chi ha già scritto ma anche da chi deve ancora raccontare… ci sono milioni di popoli fantastici di cui nessuno ha mai scritto e, se ci pensiamo bene, per scrivere un fantasy non sono nemmeno necessari.
Se li si mette in pista dovremmo curare ogni dettaglio, sì, ma anche cercare di lasciar loro addosso quell’aura di mistero e fascino che li rende un po’ incomprensibili e ci spinge a immaginare ancora di loro… voi che ne dite?
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