Dite la verità… non vedevate l’ora (si fa per dire!!!) di sorbirvi un altro dei miei prolissi papiri sul fantasy. Bè, per annoiarvi stavolta vorrei provare ad affrontare un argomento che molti danno per scontato. In realtà il tema del Guerriero, del Soldato ecc ecc non è cosa che interessa solo i fantasy, anche se nel fantastico ci sono molti sia degli uni che degli altri, e forse è per questo che è un soggetto così articolato quindi mi limiterò ad un po’ di osservazioni molto generiche e così, magari, vi parrà che la prenda alla lontana.
Intanto mi mantengo lontana in senso geografico… si dice infatti che Toro Seduto abbia detto che “il guerriero non è chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro. Il guerriero è chi sacrifica se stesso per il bene degli altri. È suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a se stesso”. Ho scritto si dice perché lessi questa frase molto tempo fa, non ricordo più dove, e in seguito non sono riuscita a trovare una fonte esatta… spero di aver ricordato bene la frase ma soprattutto chi l’ha pronunciata, ad ogni modo ciò su cui vorrei puntare l’attenzione è che queste parole fotografano esattamente una delle ragioni per cui la figura del guerriero mi affascina e perché non mi piacciono quei guerrieri (fantastici o meno) che non la rispecchiano in qualche modo.
Insomma, non che i miei lavori abbiano nessuna pretesa, ma non si può negare che ricevano gli influssi più vari, dalle leggende vichinghe, alla storia alto-medievale, alla mitologia e storia romana e persino agli indiani d’America… perché no? Ovviamente a tutti questi argomenti non potranno che esserci nebulosi richiami, sia perché io sono ben lungi dall’essere un’esperta, sia perché non vorrei mai che una mia vaga sensazione venisse presa per scarso rispetto.
Ma in effetti quella del guerriero è una figura di contraddizione netta. Talmente netta che non può che incuriosire e affascinare, almeno me. Spesso la si identifica con chi libera tutti (anche i lettori) dell’importuno cattivaccio di turno ma per me c’è di più in quella sola singola parola. C’è un percorso molto solitario che il guerriero è costretto a compiere e che somiglia a quello del Cavaliere medievale. Certo in modo meno cerimonioso e più legato alla guerra come scontro disordinato e violento, tuttavia spesso ormai pensiamo al cavaliere solo come la figura dei romanzi cortesi e io sono dell’opinione che questo sia un peccato oltre che un limite. In effetti il cavaliere non nasceva certo per salvare le nobildonne, per lo più giovani (e con una generosa dote…) belle e immancabilmente in pericolo o per vivere alla corte del suo signore. Era un uomo addestrato a combattere a cavallo. Certo… col tempo divenne la figura preferita dei cantori come colui che giurava di lottare per alti ideali e difendere la giustizia ma anche chi non poteva farlo da solo e la ragione è piuttosto… ovvia!
Imparando ad usare delle armi egli acquisiva delle responsabilità agli occhi della propria comunità. Diventava capace di dare la morte con molta più facilità degli altri e quindi aveva dei doveri nei confronti di coloro che non avevano la sua stessa abilità. Chi era debole, malato o indifeso era esposto a prepotenze e alle conseguenze violente della guerra molto più che un uomo armato, il cui compito morale, quindi, era mettere la propria esistenza a fare da riparo agli altri. E accettare anche di poter versare il proprio sangue non per loro stessi o per chi amavano o servivano ma per chi non conoscevano. E questo è ciò che accomuna il cavaliere al guerriero di cui parlavo prima.
Tornando a noi, se guardiamo al suo significato ‘moderno’, dovremo riconoscere che spesso parlando finiamo per usare la parola guerriero come un equivalente di combattente o soldato. Mentre il cavaliere è diventato per lo più simile a un ‘principe azzurro’ più o meno noioso o coraggioso. Per questo vorrei dare un’occhiatina alle origini… Se vediamo i significati ‘antichi’, soldato è una parola che nasce da soldo; era cioè chi veniva pagato per prestare il proprio servizio come guardia di confine o esperto combattente e per dedicarsi a questo senza ‘distrazioni’. Senza dover pensare, che so, ad allevare pecore e venderne la lana per superare l’inverno o a coltivare campi. Un uomo, insomma, che riceveva una paga per restare a guardia del proprio regno o della propria nazione. Anche se, ovviamente, quello dell’uomo assoldato per la difesa della propria gente è un concetto ben diverso da quello di mercenario. Pensate che i latini chiamavano latri (da cui poi il nostro ladri) i mercenari o i briganti, il che la dice lunga. Il mercenario delle Guerre di Ventura, ad esempio, accettava di lavorare per un committente invece di un altro soltanto a seconda di quanto sarebbe stato pagato e per avere il diritto di saccheggiare le terre dove sarebbe passato con la propria compagnia. Sperando di arricchirsi e, magari, farsi un nome.
Un combattente invece era, più genericamente, chi combatteva e quindi avrebbe potuto essere chiunque, persino io o voi. In qualche situazione magari ci saremmo potuti trovare a dover combattere, magari per difenderci… qualcosa di simile accadeva ai coscritti, costretti appunto dai regnanti (medievali e non) ad aggiungersi all’esercito in tempo di guerra. Per chi sapeva come usarlo e ne possedeva uno, portando con sé un arco (come accadde spesso in Inghilterra; ci sono battaglie famose in cui gli arcieri piegarono la cavalleria), per gli altri, ricorrendo per lo più a falci, asce, pietre e così via. Strumenti da lavoro di campagna che potevano rivelarsi mortali ma che in un confronto con un soldato, un guerriero, un cavaliere o un mercenario, bene armati e addestrati al modo più rapido di sconfiggere un nemico, si rivelavano in genere di ben poca utilità.
La parola guerriero invece porta in sé la parola guerra, e la guerra intesa come mischia, il barbaro uomo contro uomo; non tanto come la più o meno ordinata dimostrazione di strategia. Per questo il guerriero ci appare spesso come un ‘solitario’. Veniva certo addestrato al senso della battaglia, alla strategia, si abituava all’orrore della guerra e al sangue; poteva concepire tattiche vincenti o azzardate, guidare uomini ma anche compiere azioni eroiche (o folli) da solo, doveva essere pronto a stare in prima fila al momento dell’attacco, incitare gli altri. E già da solo il suo aspetto e la sua fama dovevano scoraggiare i nemici, impressionarli, terrorizzarli… per questo alcuni guerrieri sono rimasti leggendari. Perché avevano la capacità di spiccare in battaglia nella massa di più generici combattenti. Tra questi in effetti i più erano i coscritti di cui s’è parlato poco fa, che restavano semplici uomini anche nell’immaginario comune; si limitavano ad obbedire, potevano essere presi dalla paura e darsi alla fuga, ma finivano per lo più a fare da carne da macello. Insomma, cercavano di sopravvivere con il solo scopo di uscire vivi dalla guerra e tornarsene a casa, abbastanza sani da poter riprendere le loro normali attività. Non guadagnavano fama, né ricchezze. E anche se chi difende la propria casa può essere (disperatamente) più forte di chi aggredisce un territorio per pura sete di conquista, soldati e guerrieri ben addestrati sarebbero stati in grado di schiacciare un esercito anche molto più numeroso di soli contadini armati senza troppo sforzo.
In effetti un guerriero rappresentava un ‘investimento’ per la sua famiglia e la sua comunità: doveva essere istruito fin da giovane, addestrato a superare la paura della battaglia, a sfidare la morte, a ‘usare’ quella follia del combattimento a cui conduceva solo la selvaggia voglia di sopravvivere. E doveva essere preparato a contare su se stesso perché poteva essere l’ultima cosa che si frapponeva tra una comunità e la sua distruzione o la sua riduzione in schiavitù. Sempre che non morisse giovane o al primo scontro perché troppo impulsivo o, magari, solo per sfortuna.
Per questo il suo era un ruolo di pazienza e sacrificio innanzi tutto; per questo aveva rispetto e, se possibile, ammirazione. Altrimenti lo circondavano solo paura e terrore.
Detto ciò provate a pensare al racconto fantastico. Senza armi, senza saperle usare e senza potersi difendere, i nostri protagonisti, in genere arditi e pieni di buone intenzioni, magari abbastanza ribelli da parlare persino troppo in alcune circostanze, una volta immersi in quel mondo duro e difficile in cui il narratore li scaraventa morirebbero uccisi in brevissimo tempo. Vero è che se decidiamo di parlare di avventure in territori ostili o di guerre non possiamo tirarci indietro quando si tratta di combattere… o di mostrare la durezza di certe cose. Come la battaglia o la morte o il confine che separa il guerriero saggio dal folle.
E non si tratta di descrivere in dettaglio scene sanguinose, in realtà. O non solo. Si può farlo o meno e in parte dipende dai gusti del narratore, ma occorre puntare l’attenzione sui protagonisti e dar loro uno scopo, o saranno solo macchine per uccidere.
Ebbene, spesso si può affrontare il problema anche con la scelta di una semplice parola, senza filosofeggiare troppo. Come ho detto prima, nelle pagine fantasy è facile trovare intrighi o terrificanti conflitti, scontri sanguinosi o prevaricazioni, magiche e non. I confini tra bene e male sembrano sempre netti ma al tempo stesso sono incredibilmente sfumati! Su quei confini troveremo soldati e guerrieri, a volte vi si incontreranno mercenari, ancor più spesso però ci saranno i combattenti… di questi ultimi ne troviamo ancor più degli altri, in effetti. In genere si tratta di viaggiatori un po’ ingenui messi in marcia da un destino feroce e che si trovano a dover impugnare armi e a dover combattere per ciò in cui credono. O per salvare qualcuno o qualcosa. Ci piacciono perché ci immedesimiamo in loro molto più che in un eroe perfettamente addestrato che sa già tutto. Accadeva anche nelle fiabe… ricordate il povero figlio del mugnaio che fa fortuna, no?
Bè, in un racconto più lungo e articolato, questo ovviamente rappresenta l’ennesima incognita nell’equazione. Perché non si possono rendere guerrieri i nostri protagonisti in dieci pagine (dovrei dire… a meno di non trovare il modo di far confluire in loro una memoria e una conoscenza da altri e anche in quel caso con alcune innegabili difficoltà!) ma non li si può nemmeno lasciare sempre alle spalle di qualcuno che li difenda.
C’è allora un’altra via e, nonostante a volte sembri il contrario, non è una via molto battuta, non davvero… è quella di addestrarli durante la storia. Renderli da Combattenti a Guerrieri mentre la storia avanza, passo dopo passo. E non in una sorta di scuola al riparo dal ‘vero’ pericolo, ma durante l’avventura. Nello scorrere delle pagine condurli a imparare da ogni scontro, da ogni ferita, da ogni sconfitta. A imparare che non è facile essere ciò che sono. Perché si dovranno pur accorgere che l’ardito guerriero e l’eroe pagano un prezzo che spesso l’osservatore esterno non considera. E che non si può essere buoni guerrieri se non si è mai subita una sconfitta. Ancor meno se non si comprende il valore della vita.
Magari avranno un maestro, buono o cattivo, ma poi dovremo porli davanti alla scelta di cosa fare della loro abilità così duramente guadagnata. E a fare quella scelta saranno da soli. E da soli decideranno che strada imboccare.
Bè, ovviamente ogni autore ha le proprie convinzioni in merito ed io non ho la minima idea se riuscirò mai a rendere giustizia a tutti questi propositi nei miei esperimenti di scrittura, però confesso che è elettrizzante affrontare una sfida impari come questa. Tentare di confrontare la visione di un guerriero, di un soldato e di un combattente, vedere come una può cambiare l’altra, vedere come appare dall’esterno e come può sembrare dall’interno. Vederne le possibili trasformazioni… e domandarsi cosa ne esce.
Bè, se ne avrete voglia… alla prossima!
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