Analogie di matita…

Dunque… ormai l’avete capito che mi piace disegnare… con alterni risultati che a volte (ahivoi!) vi sottopongo; comunque  scrivere una storia, breve o lunga, ha molti punti in comune con il fare un disegno.

Si può fare una sorta di bozzetto, un piccolo disegno tanto per occupare il tempo, e poi innamorarci di quello perché dice qualcosa già così, con quei semplici segni sulla carta. Poco più che un’ombra e un contorno… Nello stesso modo magari si comincia un racconto.

Ora, nel disegno può capitare che da quel bozzetto esca fuori qualcuno che vuole essere degnato di tutta la nostra attenzione. Che ci incuriosisce abbastanza da indugiare con la matita sulla forma dei suoi occhi, sul naso e così via. E così il tratto, prima solo accennato, guadagnerà in dettagli e particolari finché la profondità di quello spazio bidimensionale che è il foglio sarà diventata colma di cose e, oltre alla figura in primo piano, ne saranno  comparse altre; finché i dettagli saranno diventati tali che ognuno di essi racconta la propria storia. A ciascuno di noi in modo diverso per di più. Ecco, quando accade questo con le parole, il racconto diventa un libro.

Quanto più i personaggi si avvicinano a persone tanto più il quadro ci colpirà e lo stesso vale per un libro. Qualsiasi sia la sua ambientazione. In effetti, se ci penso i libri che ho letto e amato sono tutti affreschi dettagliati. Dal Ciclo della Fondazione di Asimov, a Tolkien ai classicissimi Oliver Twist e I Tre Moschettieri, al brevissimo Signor Fallaninna di Rodari… dai Tre Uomini in Barca di J. K. Jerome, alle famosissime indagini della Christie ma anche alla inquieta ricerca di Woolrich nell’animo umano.

Ne Lo Hobbit si può vedere solo la ricerca di un tesoro e la sconfitta di Smaug ma non c’è solo questo. Lo dice Gandalf stesso a Bilbo nelle prime pagine del libro: ‘Però… quante cose sai dire col tuo Buon Giorno!’ e quante cose si possono dire usando le stesse parole ma intonazioni e ‘costruzioni’ diverse.

Bè, il come imparare ad usare certe parole piuttosto che certe altre lo si capisce solo leggendo tanto e formandosi un gusto proprio, ma uno dei problemi che restano fondamentali dello scrivere è e sarà sempre quello di fornire a chi legge la giusta intonazione, la giusta atmosfera in cui si svolge la storia.

Insomma, racconti o libri sono fatti apposta! Aprono la porta per un mondo in cui si entra in punta di piedi, per osservare. Ma che succede quando allontaniamo lo sguardo dalla figura principale? Vediamo tutto avvolto da una sorta di nebbia indistinta oppure riusciamo ad apprezzare scene di contorno? Lo vediamo il cagnolino che agita la coda nell’angolo a sinistra del ‘disegno’?

È questo secondo me che distingue libri solo per ragazzi o libri anche per ragazzi. L’attenzione al dettaglio, anche secondario. È molto difficile essere accurati nei disegni secondari, di sfondo, senza esagerare, ma occorre tentare di farlo altrimenti l’impressione del lettore adulto che legge libri per ragazzi sarà quella di essere diventato molto miope e di non riuscire a mettere a fuoco i dettagli. E la stessa impressione l’avranno i ragazzi che rileggeranno quel libro quando saranno cresciuti di qualche anno. Perciò penso che dobbiamo provare a descrivere l’ambiente in modo accurato, i personaggi secondari con la loro profondità e la dignità della loro personalità. Solo così ci ricorderemo di loro a distanza di anni. E magari desidereremo leggerli ancora!

A volte capita che mi manchi la sensazione che mi aveva dato leggere un libro… che la cerchi ma non la trovi in nessun altro luogo se non in quel libro. E che per questo cerchi di imprimerla in un altro racconto. Mio, certo, ma che cercherà di riportare quella sensazione. E magari non sarà una storia semplice né ammiccante. Se per farne qualcosa di simile ci si riduce a dover chiudere tutto in una piccola scatola, si troverà che lì manca l’aria, non ci sono il vento e la pioggia, non splende il sole e mancano odori che potrebbero rendere tutto più vivo e tangibile.

Qualcuno mi ha chiesto suggerimenti sulla scrittura ma non so darne di precisi. Ogni autore fa un lavoro e delle scelte del tutto personali. In questi articoli sul fantasy fornisco la mia chiave di lettura che non deve necessariamente essere condivisa. Ognuno deve trovare la propria.

So con certezza, però, che scrivere, come leggere, dovrebbe precipitarci nella storia, nel luogo esatto dove sono i nostri protagonisti… e farci vedere attraverso i loro occhi. Dovrebbe, appunto. E se si è in una palude si dovrebbero riuscire a sentire  i passi faticosi del protagonista che arranca nella melma, il suono sciabordante dell’acqua, l’odore di marcio e corrotto delle piante putrefatte e degli animali morti, l’odore dei fiori e delle resine mescolato a quello del sudore del protagonista, il ronzio degli insetti e il respiro delle creature che vi abitano, l’umidità che chiude i polmoni e appesantisce il respiro… e si dovrebbe poter ‘perdere tempo’ a descrivere in modo realistico ciò che non esiste. O forse proprio quello con ancor maggiore attenzione, per renderlo vivido e ‘reale’, almeno sulla pagina.

E questo richiede tempo, pazienza e moltissimi tentativi sbagliati. Magari poi il risultato non piacerà neppure al lettore! Ma tant’è… se al cinema abbiamo bisogno della ‘panoramica’, chi scrive deve essere pronto a sperimentare inquadrature, prospettive e filtri diversi. Per questo quando arrivo a lavorare sulle mie storie e sulle atmosfere mi chiedo sempre: una parola in più, una o due pagine in più, anche venti pagine in più se necessario valgono il rischio?

Solo i lettori forse mi potrebbero rispondere… ma anche io sono prima di tutto un lettore e io credo di sì. Se si riesce a dar luce a una scena e a ciò che le si muove intorno risvegliando qualche sensazione addormentata, allora si sarà raggiunto lo scopo e non avremo tradito la storia. Chi avremo ‘disegnato’ sarà alla fine una persona e non solo un ‘personaggio’, sarà qualcuno figlio del proprio mondo e allo stesso tempo del nostro.

Cosa avremo ottenuto? Naturalmente solo una storia, nulla di più. Vivida o no, magari ingannevole come un quadro di Escher. Ma scrivere storie è una sorta di complesso gioco ad incastro e l’unica cosa davvero importante è che sia  un gioco leale tra chi scrive e chi legge.

Alla prossima!

3 risposte a “Analogie di matita…”

  1. Okay. Questo è il mio punto dolente (e me lo avevi fatto notare pure tu..). In effetti, nonostante abbia a casa una cartellina piena zeppa di “abbozzi” dei miei personaggi, faccio sempre fatica a guardare la scena e a non sentire solo l’azione. A volte, rileggendo, mi sembra di essere un cameraman maldestro, che ha sballottolato la telecamera troppo in fretta, o non l’ha puntata nella giusta direzione, o si è concentrato solo su un dettaglio mentre avrebbe dovuto riprendere l’intera figura.. insomma, non ha centrato il punto. Altre volte, proprio per prevenire questo genere di errori, quando devo utilizzare una scenografia e capisco di non averla ben in mente, mi impongo di utilizzare anche una o due facciate per descrivere bene la stanza o la vallata, o la foresta.. naturalmente, di questa descrizione rimarrà pochissimo nel testo (per la gioia dei miei lettoriXD). Il disegno è molto più veloce, però. Temo di aver parlato solo di me, quando avrei dovuto dire qualcosa di più interessante.. sorry: archivia il tutto nei deliri da scribacchini.

  2. Eh… non solo il tuo punto dolente! Siamo in due!
    Sai quanto ci ho messo per finire la mia prima cosa compresa di inizio, corpo centrale ed epilogo? E proprio per questo all’inizio scrivevo solo scene (che era comunque divertente) e immagino dopo tutto sia servito a qualcosa… forse… boh?
    Insomma, non credere succeda solo a te! Tenere la telecamera ferma non è facile e finisce che si rischia sempre lo sbrodolamento…

    Anche io a volte mi faccio una descrizione schematica ma ancora più spesso disegno. In una mappa, ad esempio, capita che abbozzi anche regioni dove i miei poveri personaggi non passeranno mai e poi mai… 😉 È divertente lo stesso!!!

  3. Anche a me piace molto disegnare,solo che non sono un genio nel disegno…
    cioè,come posso dire? Ho le mani di ferro,non di oro( come ce le hanno alcuni che riescono a fare con quelle loro manine di tutto,mi viene da dire ad esempio mia nonna )
    E Miki,anche tu hai le mani d’oro eh… 😉
    Ciao a tutti !

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