Come suggeritomi da Mimmi, che ringrazio, tenterò in questo post di affrontare un altro argomento che si rivela sempre importante nel tracciare uno schema del fantasy. Fondamentale anzi. Il tratteggio del personaggio. Possiamo parlare di protagonista, antagonista, gregario e così via, ma parleremo sempre e soprattutto della sua ricerca e della sua evoluzione nell’avventura che si appresta a vivere… o della sua involuzione, perché no?
Dico tenterò perché non è cosa semplice fare un discorso generale e perché non intendo fare altro che darvi un punto di vista, e piuttosto generico. I metodi di lavoro e rappresentazione dei personaggi, infatti, cambiano da autore ad autore, forse ancor più che per altri dettagli. Inoltre il fantasy comprende storie ambientate in un passato immaginifico/indefinibile come pure anche nella realtà moderna o futuribile, cosa a cui i personaggi sono intimamente legati, quindi per parlare dell’argomento personaggi toccherò anche se brevemente quello ambiente…
Ma per prima cosa vorrei far notare che non tutti i fantasy hanno come soggetto la ricerca di oggetti magici, ricomposizione di amuleti, scontri con malefiche, malvagie entità superiori o esplorazioni. Non tutti, ma in effetti… molti.
Vi sono infatti storie in cui l’eroe cerca fondamentalmente solo una cosa: il modo di convivere con se stesso così com’è e per chi è. Senza dover rinunciare a una parte importante di sé per quanto essa possa essere considerata pericolosa. L’affresco è dunque, in questi casi, semplicemente quello di un mondo con regole diverse dalle nostre. Anche nel fantasy per ragazzi non sempre si disegna un torreggiante nemico dipinto come il male assoluto quanto piuttosto uno stillante, sottile, maligno… pericolo che di volta in volta prende differente forma e può essere affrontato, scoperto e sconfitto.
Insomma, se vogliamo generalizzare potremmo dire che il protagonista si limita a raccogliere una sfida. Fa questa sola cosa importante ed è questa a renderlo l’oggetto di tutte le seguenti disavventure.
Ma può accadere anche che sia lui/lei l’origine del problema, ovvero che come una sorta di Pandora, per imprudenza, egli abbia aperto il vaso dei Mali del Mondo e ora si trovi a dover affrontare quei mali per conseguenza della sua imperizia. Se fugge da ciò che ha fatto è solo un ‘colpevole’, se affronta la sfida di rimediare alla propria stupidità è un ‘protagonista’.
La Sfida, dunque. È lei che dona ritmo alla narrazione; accade così da secoli. Quella affrontata per abbattere Ilio, per tornare a casa dopo essersi perduti per mare, per affrontare orchi o mostri in generale, per conquistare terre, onore o una fanciulla, per trovare tesori e così via… Potrà accadere che il nostro protagonista sia chiamato in difesa di qualcosa o al contrario che vada ‘in offesa’, per liberare qualcuno; può anche solo essere chiamato a fare una scelta che altri non saprebbero compiere… insomma, ha davanti a sé un confronto da affrontare. Una posizione da prendere.
Ciò che dico non è certo cosa nuova.
Il protagonista del fantasy è come quello di un giallo, dove lo scopo è scoprire l’assassino, o di uno storico in cui l’eroe può essere colui che cerca di opporsi a un’invasione o che combatte per la libertà di tracciare il proprio cammino o quello di un popolo. La storia di un mercante che vuole diventare ricco o di un frate che decide di aiutare qualcuno o che va in pellegrinaggio affrontando pericoli d’ogni sorta… Nel rosa ci si sfida per l’amore di una fanciulla e nello spionistico si deve sventare un complotto… ma quel che conta è che seguiamo sempre come segugi le tracce di protagonisti attivi, che si muovono su una scena, decidendo passo passo cosa fare.
Sceglieremo la scena a seconda dei nostri gusti ma alcuni punti fermi, nel tracciare storie, ci sono. Per prima cosa infatti si parla di personaggi, almeno secondo me. E se sono chiamati a comparire sulla pagina è per ‘fare’ qualcosa. Una storia sulla pigrizia e sul non far nulla non la si legge facilmente, per cui è un po’ come per una caccia al tesoro… a chi non piace dedicarsi a scovarlo? In questo caso potremmo dire che per tutto il libro il lettore è alla caccia di indizi, scoperte, indicazioni e così via che lo conducano verso il tesoro: il finale.
Se è ben costruito allora la storia ha un senso, altrimenti perde anche il resto della narrazione. Il finale infatti è la parte che resterà più in mente ed è la ragione per cui un autore ci resta impresso; è il punto in cui il protagonista deve dar prova di aver imparato qualcosa.
Dunque, ho detto, accettano sfide: ecco la caratteristica predominante dei protagonisti. Se non lo facessero, ma si limitassero a descrivere l’ipotetica vita dei trilobiti nell’era paleozoica solo dall’osservazione dei fossili, forse ci annoieremmo e chiuderemmo il libro senza pensarci due volte (ma magari i trilobiti avevano vite avventurose, chi lo sa?). Se non accettassero sfide o non venissero trascinati in mezzo agli avvenimenti sarebbero altri personaggi, non quelli principali. Sarebbero dei gregari o delle comparse…
Vero anche che spesso in un fantasy ci si trova ad avere a che fare con un gruppo. Ciò per una serie di ragioni di movimentazione della trama, abilità da distribuire che non possono appartenere solo al personaggio principale, pena l’aver creato un genio che in due secondi potrebbe risolvere il problema (e perché allora non lo fa?) e per approfondire l’indagine nella psicologia dei personaggi o l’assaggio di culture diverse; in questo gruppo, quindi, ognuno avrà il suo scopo… vi riconosceremo un leader, un cervello su cui gli altri fanno affidamento, che in genere è il protagonista, e dei gregari che lo aiutano o lo intralciano. Personaggi che hanno personalità a volte complementari e che servono a introdurre elementi di sdrammatizzazione o di affondo. Lotte interne o pacificazioni. E anche gli altri personaggi dovranno avere una ragione per unirsi al protagonista nella sua ricerca. O per opporglisi.
Ma ancora una volta, fin qui, il discorso vale un po’ per tutti i generi.
Il fantasy però ha dalla sua che può essere ambientato in mondi lontani e/o antichi, in terre ‘impossibili’ o mondi confinanti col nostro come pure nel nostro vero e proprio… e ciò aiuta il permanere dell’influsso fiabesco/epico. Per questo, spesso, pensiamo che l’unica via possibile di parlare di personaggi fantasy sia quella di far loro affrontare l’oscuro nemico o di trovare il mezzo per sconfiggerlo (come nelle fiabe si getta una strega nel forno o nell’epica si uccide un orco che mangia guerrieri); si usa, forse senza neppure rendercene conto, un metodo ‘tolkieniano’. E sebbene sia un ottimo metodo che io stessa mi trovo ad usare, anche se non sempre, lascia fuori molte possibilità.
Potremmo infatti fare di più… fondere strutture, come Asimov ha fatto in termini di fantascienza creando i suoi gialli futuribili… o come fa qualsiasi autore che crei un poliziesco ambientato in un’epoca storica diversa dalla nostra. Con la differenza che spesso questo, nel fantasy, viene visto con sospetto…
Il lettore di fantasy vuole spesso i richiami al mondo della fiaba e vuole che siano netti e precisi. Tuttavia tutti siamo in grado di vedere che nella Camera dei Segreti o nel Prigioniero di Azkaban della Rowling (in Italia, come sapete bene, editi da Salani) l’effetto giallo-mistery inserito nel fantasy per ragazzi rende il risultato a dir poco perfetto.
Tornando a noi, si può scegliere un modo di narrazione epico/fiabesco o un metodo di fusione di tematiche e mondi, ma, in definitiva, è nella costruzione dell’umanità del personaggio che si rischiano gli abbagli peggiori, e non tanto nel prendere l’eroe che affronta il drago o che al contrario lo cavalca facendoci amicizia. Quanto piuttosto nel fornirgli sfaccettature.
Immaginate che sia un diamante grezzo. A seconda di come lo tagliate otterrete giochi di luce diversi. Se sbagliate a tagliarlo… bè, perderete un bel gruzzolo! 😀
Il fatto è che un personaggio non viene quasi mai descritto dalla sua nascita alla morte ma l’inquadratura parte da un certo punto della sua vita; per cui deve avere un passato e questo passato deve fornire le ragioni per cui compie delle scelte, giuste o sbagliate lo rivelerà poi l’azione. Il personaggio deve pensare, e non necessariamente cose eroiche. Non può fare a casaccio. E non potrà essere lo stesso partito all’inizio della storia, quando si arriverà alla pagina 500. Questa è la ragione per cui, anche nei fantasy per ragazzi, non riesco a non far crescere i personaggi, per quanto possa essere giocoso o scanzonato il linguaggio. È il passato che influenza il futuro… in piccolo e in grande. E questo passato non deve essere noto solo all’autore ma deve passare anche al lettore, in modo esplicito o implicito.
Detto ciò, di certo il nostro personaggio accetterà la sfida ai limiti del suo possibile; in essa verrà scagliato a forza oppure perché tutto sommato la desidera, come Frodo e Bilbo, o, ancora, la cercherà senza tregua, inseguendo la gloria come Beowulf o Achille. Persino per curiosità, come l’Uomo che Voleva Imparare a Rabbrividire di una fiaba dei Grimm. Ci sono milioni di possibilità. Saranno personaggi curiosi come Ulisse o che perderanno il senno come Orlando. Saranno guidati dall’alto ideale di Onore o dal fantasma del Vantaggio Personale. E attraverso le loro peripezie sveleranno di sé e del loro mondo segreti che non conosciamo. E ci dimostreranno che l’affrontare una sfida cambia la prospettiva e la visuale: questo è il loro scopo.
In una storia fantastica, forse più che nelle altre, è palese sin da subito lo spezzarsi iniziale di un equilibrio preesistente al quale occorre porre rimedio: cercando una soluzione. Ecco perché spesso prendiamo come scusa il male dilagante e il ricomporre pietre, amuleti, lo sconfiggere crudeli nemici, l’esplorare terre lontane e… lo sbagliare e il porre rimedio agli errori come si può, accettando ciò che si è fatto, pagandone le conseguenze e trovando il modo di convivere con se stessi con le limitazioni che ci contraddistinguono.
Si può anche affrontare le cose in modo un po’ diverso, usando ad esempio l’escamotage dell’eletto e del superiore, invece che quello del pari ma il senso della sfida deve restare o perderemo qualcosa. In realtà in sé questa è una soluzione che personalmente non mi sento quasi mai di usare… in effetti qualcuno nato apposta per fare qualcosa, tutto sommato, rende il resto inutile…
A molti però la cosa piace. Nulla di che: sfrutta l’idea sepolta a fondo nella nostra mente che dopo tutto, nonostante le apparenze, siamo destinati a fare grandi cose. Che abbiamo più capacità degli altri. Che possiamo distinguerci e non solo per le nostre scelte… bè, questo lo si può usare anche meravigliosamente, se si considerano certe cose. Perché altrimenti è un po’ come dire che gli altri si sono seduti ad aspettare questa persona affinché mettesse a posto le cose… senza porsi problemi circa cosa gli avrebbero chiesto di fare e senza preoccuparsene. O chiedersi se potessero fare qualcosa loro… e a me piace pensare, invece, che ciascuno di noi, con le proprie scelte e le proprie ‘abilità’, nella combinazione unica che lo costituisce, possa essere la chiave di volta. Sempre che decida di mettersi in gioco. Un eletto, dopo tutto, è un protagonista terribilmente sventurato e soggetto a errori mortali, più di altri protagonisti. Un eroe affascinante senza dubbio, ma particolarmente complesso da gestire.
In generale però mettere i protagonisti di fronte a un destino difficile, di fronte a sfide terribili, darà loro modo di crescere e questo c’è in tutti i libri, fantasy o meno; per questo la descrizione del personaggio, implicita o esplicita che sia, che coinvolga il lettore in una interpretazione o sia palese per narrazione, è per me la cosa più importante e delicata da fare. Che in passato io ci sia riuscita o meno, che ci riesca o no in futuro, i personaggi sono a mio modo di vedere l’ossigeno della storia.
La loro comparsa sulla pagina non può prescindere da dove sono nati, dal mondo e dal modo in cui hanno vissuto e da chi li ha preceduti. Sono figli del proprio mondo, del proprio tempo e delle proprie scelte, e siccome i mondi fantasy non hanno riferimenti comuni, occorre descriverli al loro interno forse con maggiore attenzione che in altri generi. Per questo forse i fantasy tendono ad essere più lunghi di altri libri. Natura, cultura, mondo sono tasselli irrinunciabili da sistemare durante il tratteggio del personaggio. E che ancor più importanza avranno nella sua crescita. Non ci basterebbe trovare sulle pagine un burattino nelle mani di un narratore, una marionetta che agisce così solo perché Arlecchino agisce così da sempre, mosso da fili invisibili su una scena con un fondale dipinto. Neppure Pinocchio, che è il burattino per antonomasia, si comporta da burattino. Nemmeno una volta, anzi! È lui che esplora il mondo, il fondale, rendendolo vivo.
Ma ora sto cambiando discorso… e siccome ho straparlato abbastanza, di quel fondale, di quel mondo fantastico, direi di parlare la prossima volta, sempre se vorrete…
PS: Ne approfitto per fare a tutti voi gli auguri di Buona Pasqua! 😀 Alla prossima!
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