In questo articoletto parlerò di qualcosa che conosco appena ma che mi incuriosisce da sempre. Il lavoro dello scrittore. Dovrei dire: il mio lavoro, se non fosse che la parola scrittore mi è sempre sembrata troppo altisonante. Forse dipende dal fatto che quando ho cominciato a sentirla pronunciare era quasi sempre riferita ad autori… morti…? Chissà…
Ma veniamo a noi.
Lo scrittore, per definizione, è chi si dedica all’attività della scrittura.
Ora, converrete con me che si possono scrivere lettere/e-mail, libretti di istruzioni per forni a microonde, sms pieni di k e abbreviazioni buffe, si possono scrivere contratti e temi per la scuola, liste della spesa e dati da analizzare, ma che questo non ci rende scrittori nel senso comune del termine.
I cosiddetti scrittori sono quelle persone che si occupano di lavorare ed elaborare su carta gli argomenti più diversi: importanti ricerche, saggi storici o scientifici e inchieste giornalistiche; ma anche, più semplicemente, le persone che raccontano storie.
Fossimo rimasti alla ‘tradizione orale’ probabilmente questi ultimi le avrebbero raccontate davanti ad un focolare nelle sere d’inverno o sotto un cielo estivo e, se fossero stati particolarmente bravi, le loro storie sarebbero state imparate da altre persone che le avrebbero raccontate ancora, dopo di loro. Così ci sono arrivati antichi poemi e così ci sono arrivate le favole, le fiabe e i miti, prima che qualcuno si decidesse a scriverli per evitare che andassero perduti.
Insomma, da brava pratese vi dirò che gli scrittori sono un po’ ‘tessitori’ che si barcamenano tra trama e ordito e per farlo seguono (o dovrebbero seguire) leggi utili per riuscire a ottenere un buon intreccio, resistente e versatile. Le stesse che valevano anticamente.
La principale è che devono toccare almeno qualche corda nel cuore di chi legge. Se non ci riescono la storia viene dimenticata, se ci riescono continuerà ad essere letta.
Sul come riuscire ad applicare questa regola potrete leggere saggi, assistere a lezioni etc, ma la verità è che ciascuno scrittore deve trovare il proprio modo. Ho sentito moltissimi pareri, alcuni opposti ad altri, tutti validissimi e allo stesso tempo tutti inefficaci. Insomma, è l’aspetto che mi ha sempre incuriosito di più dello scrivere, devo ammetterlo. Quello che mi porta a fare altri esperimenti… volta dopo volta.
A parer mio, stabilito il linguaggio del libro e una volta a conoscenza dei principi di base della lingua italiana… non ci sono davvero ‘regole’. Non si parla di 2+2 e dipende tutto dal come. Il che rende la cosa estremamente difficoltosa e intrigante. Ogni storia ha dei pilastri base, delle regole interne e chi la racconta sarà obbligato a rispettarle.
Non potrà fare altro che scrivere, rileggere e riscrivere e poi valutare se il risultato è passabile o meno. Se è riuscito a trasmettere qualcosa. E cosa.
Le molte regole spiegate da esperti semplificano il compito se si è (e lo si è sempre, in qualche modo) all’inizio, permettono di migliorare il risultato (a volte moltissimo) ma la verità è che nessun libro è l’accumulo delle ‘regole per scrivere libri’ che si può seguire per redigerlo. O finisce per essere una ‘lista della spesa’. Certo quelle regole andrebbero almeno conosciute, per sapere quali lasciare da parte di volta in volta e se sia opportuno farlo, ma il discriminante vero è se alla fine siamo riusciti a far vibrare qualche corda nel cuore di chi legge o no. Imperfezioni o meno.
Quasi accordassimo uno strumento.
Ci sono persone con gusti diversissimi; non si potrà incontrare il favore di tutti e occorre tentare di migliorare sempre e comunque, ma la cosa più bella di chi racconta una storia, è che lascia al lettore, chiunque sia, la libertà più totale.
Un libro è taciturno e quieto finché è posato sul suo scaffale, in libreria o in biblioteca; non grida per attirare la vostra attenzione, non suona il clacson; vi obbliga anzi a guardarvi intorno, a essere curiosi, a cercare. Non a prenderlo in mano e aprirlo, e tantomeno obbliga qualcuno alla lettura, a sentire il clangore delle armi che cozzano contro gli scudi o il suono del folgoratore che saetta accanto al vostro orecchio o lo schiocco di un bacio.
Come un cantore non obbligava nessuno che non lo desiderasse a sedersi attorno al fuoco ad ascoltare la sua storia. Un libro è l’oggetto più democratico che esista. Lo si apre, lo si sbircia, lo si leggiucchia qui e là, assaggiandolo come un piatto sconosciuto e solo se si pensa che contenga un’alchimia di nostro gusto si prova a leggerlo. Altrimenti lo si appoggia di nuovo e basta. Non morde.
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