Gli Obblighi di un Racconto

Mi è stato chiesto qualche volta se scriverò mai per adulti e la mia risposta non può che essere stata ‘certo!’ tuttavia questa domanda mi ha fatto capire che essendo stato pubblicato per primo un mio lavoro per ragazzi vengo spesso identificata come “scrittrice per ragazzi”. E che questo ci si aspetterebbe da me. Solo libri per ragazzi. Pare quasi una provocazione assurda o un affronto avere la voglia di tentare altro.

Non sono affatto dispiaciuta di essere definita così, credetemi, ne sono anzi molto orgogliosa e lusingata, però sono convinta che chi scrive storie debba poter cambiare registro di scrittura(se ne ha voglia e intende fare un tentativo), modi narrativi, tipo di racconti e varietà di mondi come meglio crede.

Seguendo la storia che ha in testa e niente altro.

Uno scrittore è tale perché mette uno di seguito all’altro sulla carta tanti segnetti bizzarri in modo da trasmettere informazioni e, insieme ad esse, emozioni. Da uno scrittore di narrativa ci si aspetta (io mi aspetto) che attraverso quelle interminabili serie di convulsi codicilli ci instilli paura, gioia, fatica, dolore… E non c’è un modo semplice e un modo complesso per farlo. È sempre estremamente complesso. Non c’è l’aiuto delle più dirette immagini, dei colori, dei suoni assordanti, come nel cinema. Non c’è l’interattività di un videogioco. C’è solo la pagina e lo scritto. E, io credo, non esiste un modo di ‘trasmettere’ che va bene per ragazzi e un modo per adulti. Si accetta una sfida e si cerca solo di farlo, riuscendoci o non riuscendoci.

Per questo, mentre lavora, chi scrive non può e secondo me non deve fare una distinzione per tipo di pubblico. I libri contengono storie e questo è il succo, la parte importante. Alcune saranno troppo difficili per i ragazzi che dovranno aspettare a leggerle (ma solo perché altrimenti si annoierebbero a morte) altre saranno più adatte anche a loro ma in questo caso una storia raccontata come si deve avrà qualcosa da dire anche agli adulti.

Se, quando siamo ragazzi, leggendo ‘Il Giardino Segreto’ troviamo meravigliose certe cose, rileggendolo quando saremo adulti ve ne troveremo altre, altrettanto belle. Un libro resterà sempre speciale se in qualche modo riuscirà a non essere mai lo stesso, a cambiare insieme a noi, restandoci attaccato come una seconda pelle.

Spesso però per ‘libri per ragazzi’(sto parlando di storie per ragazzi e non per bambini: la distinzione non è trascurabile) le persone intendono libri validi a otto, nove anni e poi mai più. Libri che per questo non hanno, ahimè, molta sostanza, che non creano nemmeno la più piccola domanda in chi legge, che vengono sorbiti come una bibita ghiacciata e dimenticati l’attimo seguente e che, come ovvio, non piaceranno ai ‘grandi’ che dovessero trovarsi a leggerli. Libri palliducci e fragili. Fantasmi di una storia che poteva essere.

Forse, direte voi, ne ho scritti così anch’io ma spero di no.

Personalmente adoro le trame complesse e non mi piacciono i libri troppo semplificati né quelli che sono troppo aderenti alle aspettative perché così non stupiscono. Stupire è il mestiere della narrativa e non considero i ragazzi degli assonnati pigroni. Li considero cervelli pensanti in cerca di sfide e, anzi, più attenti ai dettagli di molti adulti. Lo dice anche una scrittrice che amo. Anche se sono convinta che l’abbia detto sorridendo, c’è del vero nelle sue parole:

“Nei libri per adulti bisogna sempre ricordare ai lettori cosa sta succedendo. I poveretti non usano più il cervello quando leggono. Invece ai bambini basta dire le cose una sola volta” – Diana Wynne Jones, Intervista all’autrice riportata al termine di Le vite Perdute di Christopher Chant, Istrici.

Eppure, spesso, li si considera troppo giovani per un certo stile, per alcune parole che sembrano difficili. Forse secondo questa logica non molti oggi potrebbero scrivere un libro per ragazzi che comincia così:

“Richiesto dal cavalier Trelawney, dal dottor Livesey e dal resto della compagnia, di narrare dal principio alla fine tutto ciò che si riferisce all’isola del tesoro, senza omettere alcun particolare, fatta eccezione per la posizione dell’isola, e questo solo perché vi sono tesori non ancora dissepolti, prendo la penna nell’anno di grazia 17… e mi riporto al tempo in cui mio padre gestiva la locanda Admiral Bembow e il vecchio marinaio dal viso abbronzato e segnato da una sciabolata prese per la prima volta alloggio sotto il nostro tetto.” – R. L. Stevenson, L’Isola del Tesoro, BUR.

In molti tra i lettori direbbero ‘Santi numi, perché non ha semplificato, questo scrittore?’, ‘perché non ha spezzato la frase in modo che sia più leggibile e meno pesante!’ Bè, traduzione a parte, è vero, l’incipit è incredibilmente lungo e punteggiato solo da virgole. Serve un gran bel fiato per leggerlo tutto senza interruzioni e mi ricordo che la prima volta che l’ho letto ho trattenuto il respiro per tutto il tempo. Magari semplici lettori e validi esperti direbbero che lo stile è pesante per un ragazzino, ma una volta entrati nella narrazione chi non ama l’Isola del Tesoro?Il marinaio col volto segnato dalla sciabolata e il riferimento a una isola con un tesoro è già ghiottissimo ed il linguaggio ottocentesco con cui tutto è raccontato fa parte dell’ambientazione e del modo narrativo che rende speciale il libro, proprio come l’episodio del ‘barile delle mele’.

Se vi piace andare più al punto, bene. Ma non vedo più neppure libri che hanno l’avventatezza di cominciare come preferivo, ovvero ‘di colpo’, nel bel mezzo dell’avventura. E che avventura!

“«Risaliamo?»

«No, tutt’altro. Discendiamo. Anzi cadiamo, signor Cyrus.»

«Diamine, gettate della zavorra!»

«Ecco vuotato l’ultimo sacco!»

«Sento sotto di noi come lo scroscio delle onde.»

«Eh sì, abbiamo il mare sotto la navicella a non più di duecento metri».

Allora una voce potente risuonò nell’aria e comandò: «Fuori tutto ciò che pesa! Tutto… e che vada come Dio vorrà!»”– J. Verne, L’Isola Misteriosa, De Agostini.

Ma una sfida, in qualche modo, la lanciava, anche la Burnett cominciando così:

“Quando Mary Lennox fu mandata in casa dello zio al castello di Misselthwaite, tutti dissero che era una bambina antipatica e dall’aspetto scostante. E non si poteva dar loro torto. Aveva una faccetta minuta, un corpo gracile, i capelli biondicci e un’espressione dispettosa” – F.E. Burnett, Il Giardino Segreto, De Agostini.

E proseguiva con il dialetto parlato da Dickon, l’impronta del quale nella traduzione va perduta. Era quella sfida che accettavo. Prova un po’ a vedere cosa accade a questa bimbetta che è antipatica, ossuta e scostante dalle prime righe della prima pagina! Perché occuparsi di una protagonista antipatica con tutte le possibilità di prenderne una simpatica!? Forse occorreva provare a cambiare punto di vista? A immedesimarsi?

Potrei citarvi moltissimi esempi simili e moltissime soluzioni diverse scelte da questo o da quell’autore, antico o moderno. Ma non avrebbe molto senso. Il senso è dato solo dalla storia. Ogni pagina in un libro deve ‘suonare’ e quando leggo frasi troppo corte, descrizioni ‘non descrittive’ per paura delle parole un po’ più complicate, sfide a cui si è rinunciato per rendere i testi leggibili all’utopico ‘tutti’… non posso che dispiacermene.

I ragazzi sono curiosi e se glieli si introduce con garbo, magari con storie leggere o d’avventura, potranno parlare di tutti gli argomenti, domandare ai genitori o agli insegnanti e farsi la propria idea in merito. Io credo che perché possano diventare grandi occorra trattarli come tali e chiedere loro uno sforzo, perché pensino con la propria testa, si facciano le proprie opinioni e siano in grado di discuterne apertamente e con civiltà.

Non so se si avverte ma per quel che mi riguarda non scrivo pensando di lavorare ad un libro per ragazzi o per adulti. Sempre ammettendo di riuscire a combinare qualcosa che sia poi leggibile e degno, scrivo e basta. Solo quando giungo alla fine mi rendo conto di quale pubblico potrebbe essere più adatto per quel mio lavoro; se un ragazzino si annoierebbe o perderebbe la metà dei riferimenti che ho voluto inserirci o no…

E anche quella, naturalmente, non è che un’opinione. La mia.

Correzioni e migliorie a parte, però, non ritengo sia giusto cambiare lo spirito e lo scopo di un racconto per adattarlo ad un pubblico piuttosto che ad un altro. Un bel libro per ragazzi è valido da 9 a 99 anni e un libro per adulti da 14-15 anni in poi. Dopo tutto a quell’età siamo in grado di leggere romanzi complessi, opere letterarie di valore(se se ne ha voglia o se ci obbligano a scuola non ha poi molta importanza. Siamo in grado)… perché non dovremmo poter affrontare storie d’avventura o gialli scritti con piglio più adulto?

Insomma, scrivo prima di tutto per divertirmi e cercherò di farlo ancora per molto tempo. I risultati non li conosco, ma so che lavorerò a storie senza una destinazione particolare.

A chi avrà la pazienza di leggere andrà il giudizio. Come sempre.

“Coloro che cercheranno di trovare uno scopo in questa narrazione saranno processati; coloro che cercheranno di trovarvi una morale saranno banditi; coloro che cercheranno di trovarvi una trama saranno fucilati.

Per ordine dell’autore

G.G., Direttore dell’Ufficio Decreti”

M. Twain, “Avvertenza” in Le avventure di Huckleberry Finn, BUR

9 risposte a “Gli Obblighi di un Racconto”

  1. ciao Miki,
    sono inciampata per caso nel tuo blog, provengo dallo stesso Universo WordPress, piccola costellazione di PENELOPE VA ALLA GUERRA, una stazione letteraria collettiva, appena aperta in mezzo al traffico vorticoso del web.
    Mi ha incuriosita molto il tuo lavoro, la tua razionalità balla sontuosi walzer abbracciata alla fantasia, con dote accordata: l’inspiegabile virtù che una persona si ritrova, che lo voglia o no, dello scrivere…
    mi sono piaciuti molto anche i disegni, anche se non amo i manga… ma hanno il fresco dell’immediatezza, della comunicazione diretta…

    Beh, non ti chiedo ancora se vorrai … contaminare con la tua presenza il mio PENELOPE, che vorrei arricchire molto di più col talento femminile… tu però, se hai voglia e tempo, fa una visitina… ti aspetto.
    francesca cenerelli

    http://www.scriviapenelope.wordpress.com

  2. Sono totalmente d’accordo con te. I target sono sempre esistiti, ma da semplici “consigli per gli acquisti”, sono diventati dei veri e propri must.
    Le storie alla fine non hanno target, ma lo stile sì. Si può passare da uno stile serio allo stile scanzonato, ma questo non pregiudica la qualità dell’uno o dell’altro.

    “Coloro che cercheranno di trovare uno scopo in questa narrazione saranno processati; coloro che cercheranno di trovarvi una morale saranno banditi; coloro che cercheranno di trovarvi una trama saranno fucilati.”

    Twain è un grande! =D

  3. @Penelope: Grazie… anche per i disegni. Quello che mi piace dei manga è appunto l’immediatezza! Passerò a dare una sbirciata al tuo blog!

    @Luca: eh, sì! Twain è Twain. E all’epoca era pure considerato diseducativo, pensa un po’…

  4. Se analizziamo un testo seguendo le “regole” della narratologia possiamo sempre individuare un “lettore implicito”, ovvero una particolare tipologia di pubblico definita dai contenuti, dal linguaggio e dallo stile.
    Ad esempio se scrivo in italiano il mio lettore implicito sarà colui che conosce questa lingua.
    Credo sia senz’altro possibile fare delle scelte prima di iniziare la stesura di un libro, ma credo anche che ciò debba necessariamente avvenire prima di immaginare la storia.
    Se c’è già la storia allora vuol dire che le scelte sono già state fatte e c’è anche il lettore implicito.
    Dunque si potrebbe dire che quando nella tua mente la storia prende forma stai già operando delle scelte e, anche se non te ne rendi conto, hai gia deciso se scriverai per ragazzi o adulti.

    Bene, dopo questo sproloquio mi ritiro a bere un caffè corretto. 😀

  5. Non credo di essere del tutto d’accordo… il che spiega il mio articoletto, in effetti. XD E ora parto col papiro…
    Se vogliamo filosofeggiare, io penso che alcune storie, per argomento, siano adatte sia ad un pubblico giovane che a uno adulto ed è ovviamente di queste che sto parlando.
    La differenza è se è l’autore che decide in partenza a chi parlare (facendo quindi delle scelte per orientarsi verso quel pubblico) o se lascia che sia la storia a prendere il sopravvento. Non è solo il contenuto a definire il linguaggio. non sempre. se parlo di omicidi efferati dovrò ovviamente tenere un certo linguaggio, ma soprattutto in ambito fantastico mi potrà capitare di raccontare una sorta di fiaba in modo spiccio e tradizionalmente ‘fiabesco’ ed avrò un pubblico di bambini e ragazzi, o di raccontarla con dovizia di particolari, affondi sui personaggi e l’ambiente ed un linguaggio più ‘alto’ che la renderà leggibile ad un pubblico più adulto pur essendo in fondo la stessa storia.
    Ora, in questo caso, con lo stesso soggetto, scegliendo freddamente di raccontarlo in un modo o in un altro ‘determino’ il pubblico che potrebbe trovarlo più interessante, il tuo ‘lettore implicito’. E su questo credo siamo d’accordo. Posso scegliere.
    Tuttavia, e magari ora sto sproloquiando, la scelta secondo me (e per me) è la storia(che non è solo ‘il contenuto’) a farla, da sola. Nel senso che risulterà migliore e più diretta e ‘viva’ in un modo piuttosto che nell’altro, per quanti sforzi l’autore faccia per ricondurla su certi binari, quelli che aveva scelto!!!
    Se pur di mantenere l’idea iniziale il linguaggio è ‘sbagliato’ la storia perde di senso. Te lo dico perché mi è capitato di partire a scrivere con l’idea di una storia di un certo tipo e per un certo pubblico e di essermi ritrovata ad aver scritto una storia che è adatta ad un altro tipo di pubblico rispetto a quello a cui volevo parlare… sarò pazza io? Probabilmente sì 😉 schizoide!
    Opinione per opinione la mia domanda a questo punto diventa… quanto è una scelta effettiva(conscia o inconscia) e quanto è la storia ‘che comanda’?
    Ogni scrittore farà le sue scelte(alcuni devono sapere ogni dettaglio prima di cominciare, altri vagano alla cieca, altri scelgono il linguaggio in modo accorto per restare in un certo e determinato ambito, ecc ecc) ma il punto è che una storia è sempre ‘viva’ e ‘sgusciante’ come un serpente. Non si fa afferrare se sbagli linguaggio. Ti costringe ad usarne uno piuttosto che un altro.
    Se la leggi a voce alta, nessuno si ferma ad ascoltarti se non tocchi qualche corda nel suo immaginario o nella sua sensibilità.
    Tu mi dirai che sono io che faccio una scelta anche quando non mi sembra, ma non è del tutto così. Se scrivi in italiano, il tuo lettore implicito è in realtà esplicito, sia per te che per il pubblico; il linguaggio usato per l’incipit dell’isola del tesoro però non identifica chiaramente un pubblico di undicenni o di quarantenni, nemmeno nell’epoca in cui era stato scritto. Si rivolge a tutti. Non facendosi mancare nè parole nè complicazioni. L’autore avrebbe potuto semplificare per rivolgersi ai ragazzi, ma in realtà non ce n’era ragione… in quel caso secondo me la storia l’ha fatta da padrona. Altra domanda. Perché in partenza scegliere di rivolgersi a un lettore piuttosto che a un altro?
    Ai posteri l’ardua sentenza!
    😀

  6. “…io penso che alcune storie, per argomento, siano adatte sia ad un pubblico giovane che a uno adulto…”

    Io invece credo che tutte le storie siano adatte sia ad un pubblico giovane che a uno adulto.
    Quello che le rende “inadatte” sono le scelte che si compiono a priori, ovvero prima di “vedere” la storia nella sua interezza.
    Provo a spiegarmi meglio.
    Immagina un mare in cui nuotano storie, ti avvicini e ne peschi una. All’inizio è qualcosa di informe, non la distingui bene, poi, a poco a poco, le tue mani le danno una forma.
    Ma le tue dita modellano in base alle tue scelte, ed ecco che la storia diventa leggera e colorata, oppure greve ed oscura.

    Ovviamente avrai capito che per me tutte le storie vivono di vita propria nel nostro inconscio collettivo.

    E quando modelliamo non scegliamo un ipotetico lettore come riferimento, ma noi stessi, in quel momento.

    Naturalmente quanto sopra è una mia certezza, non certo una verità assoluta e/o indiscutibile 😉

  7. Come la tua, anche la mia è solo un’opinione! 😀

    A me, ti dirò, non sembra di modellarla, una storia. Per restare alla metafora quasi biblica del pesce e del mare… il pesce c’era anche prima. Io lo pesco e al massimo lo cucino in un modo o nell’altro, ma se ho pescato uno squalo o un’alice ci sarà qualche differenza, anche nel modo in cui potrò ottenere migliori risultati cucinandolo.

    😀 😀 😀

    In effetti penso che potremmo star qui a parlarne per secoli… 😉 Ma faccio una piccola pepita ‘esplicativa’ e scherzosa sull’argomento! così rinnovo anche il mese di febbraio…

  8. 😕 Umm… mi sono un po’ perso nelle discussioni…

    Come in TV i teletubbies e le winx sono inguardabili dagli adulti, così ci sono libri illeggibili dagli adulti. Libri pieni di gnomi che fanno le puzze o tizi che mangiano cibi schifosi posson far ridere un ragazzino, ma non mi prendono granché.
    E la distinzione non è solo questa. Ad esempio ci sono libri che piacciono alle donne, ma sono indigesti alla maggior parte degli uomini (ah, sì, e viceversa… !)
    Tu probabilmente hai un gusto piuttosto ampio, e le storie che scrivi vanno bene da 9 a 99 anni, per maschi e femmine… e scritti in modo da poter piacere a tutte le età.
    Certo, per ora non hai pubblicato niente di adatto a chi non ama gli elementi fantastici e desidera un’opera piena di problemi concreti e materiali (di norma gli adulti) o storie d’amore romantico e passionale o thriller o horror. (Almeno, non ho ancora letto gli ultimi due di Cornelia, ma non mi aspetto che diventi una Alex Cross in gonnella, innamorata per giunta di un prestante vampiro).
    Perciò le storie che inventi, o che vengono a te, non saranno comunque universali perché incontrano e vengono filtrate dal tuo gusto.
    Che a me piace. 😀

  9. In effetti in ambito libresco sono onnivora.
    Mi piacciono libri con ambientazioni e storie diverse e spero che riuscirò a lavorare in diversi ambiti… ma di sicuro non racconterò mai di una storia solo la parte romantica e sdolcinata (non mi vedrete mai, insomma, in veste di novella Liala, sbadiglierei alla riga 10) o solo quella sanguinaria.
    Però vorrei tentare di avventurarmi anche per la via del giallo/thriller o dell’horror… e perché no dello storico oltre che continuare a camminare per il sentiero del fantastico e del fantascientifico.
    Spero solo nella pazienza dei lettori… se si raccapezzeranno in questa mia ostinazione di voler lavorare in molti campi diversi!!!
    Qualcosa c’è già… spero che prima o poi potrete leggerlo.
    L’idea di fondo non è l’universalità o l’assoluto, ma il cercare di ‘rispettare lo spirito di una storia’ lasciandole la sua capacità di parlare a più persone possibile, in modo che ognuno, dal proprio punto di vista, vi trovi qualcosa. Sempre nell’ambito del gusto personale, s’intende… 😀

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