In realtà magari non dovrei parlarne, perché vi annoierà sicuramente, ma non mi dilungherò troppo, stavolta. Il fatto è che ultimamente mi sono trovata a parlare con qualcuno che mi ha costretto a dire a voce alta una cosa che mi pareva ovvia e più che ovvia… così ho pensato che forse non lo è, dopo tutto… di che si tratta?
È presto detto: per quel che mi riguarda nello scrivere il detto conta quanto il non detto. Entrambi vanno dosati perché la storia, l’ho già sostenuto altre volte parlando dell’importanza di approfondire, è come un tessuto e se la trama è troppo rada non tiene… ma se è troppo spessa somiglia alla carta vetrata! Ora, ecco come la penso: non si può dire tutto del percorso psicologico dei protagonisti se non si vuole diventare leziosi o pretenziosi (o scrivere un romanzo rosa… in quel caso i canoni sono del tutto diversi perché la telecamera è centrata sui due “innamorandi” e non sugli avvenimenti, per cui questi ultimi diventano il contorno e l’amore e i rimuginii dei protagonisti il piatto principale). Ciò per diverse ragioni. La prima è che ciascuno ha una parte che tiene nascosta al mondo, anche i personaggi delle storie. Non perché sia segreta ma perché è solo sua. La seconda è che non si può trasformare il carattere dei protagonisti solo perché una frase starebbe bene qui e i lettori la vorrebbero ardentemente (chi lo dice, poi?). La terza è che non si può spiegare ogni singolo dettaglio delle decisioni dei personaggi (con una sorta di esegesi del testo compresa nel testo); l’unica cosa che si può fare è spiegare la ragione di quelle decisioni con ciò che avviene prima e con il come i personaggi si comportano in confronto alle prove che vengono loro sottoposte. Insomma, è un po’ come tracciare una immagine per punti, che poi il lettore deve unire da solo.
Ma soprattutto si deve ai personaggi una fedeltà alle scelte iniziali con cui si è tracciato il loro carattere. Io diffido sempre di chi entra troppo nel personaggio rendendolo ‘se stesso’, a meno che non si parli di autobiografia, perché finisce che se ne lascia troppo trasportare.
Insomma, qualcuno dal carattere chiuso non potrà mai fare una dichiarazione d’amore con serenata, ad esempio, e qualcuno che discute sempre molto non diventerà improvvisamente arrendevole per esigenze sceniche, tanto per prendere alcuni esempi banali. Sarà che quando penso a qualcuno che legge penso anche che segua il percorso che chi scriveva gli ha tracciato, ma a modo proprio. Insomma, ditemi voi, ma il “lettore che io sono” colma con la propria interpretazione quei ‘non detto’ che gli vengono forniti. E che, almeno per alcuni personaggi, contano più dei ‘detto’. E così, con alterni risultati, cerco di fare anche io.
In alcuni punti di un racconto si dirà, in altri si suggerirà soltanto, per portare chi legge a concludere da solo, ma con qualche dubbio… anticipando quel che avverrà nel finale se ci va, in ogni caso non troppo o il lettore si reputerà più intelligente dei protagonisti, immaginerà da sé il finale e non si chiederà invece ‘E ora???’.
Dal mio punto di vista è come stare sempre in bilico e non sempre l’effetto finale riesce come si vorrebbe, ma è una sfida che va affrontata. C’è un lavoro di pesi e misure accuratissime che è necessario quando si scrive e più che necessario quando si legge. Come quando si progetta un ponte vanno fatti i dovuti calcoli di stabilità. O se si progetta un satellite i vari controlli degli automatismi di sistema. Poi, come ovvio, quando i pedoni passano sul ponte o gli utenti usano i dati del navigatore satellitare per andare a casa della ‘zia Giuseppina’ non vogliono conoscere i calcoli.
Nel caso dei libri: non si può dire tutto o il racconto diventa una lista della spesa con informazioni superflue che escono da tutte le parti. Va detto abbastanza, certo, ma va costruito ancora di più, in modo che il lettore immagini e per questo ci vuole un po’ di coraggio. L’approfondimento che mi piace non è un piatto affastellamento di dettagli, insomma. Certo sono pareri. C’è chi sostiene che aggiungo parti inutili. C’è chi sostiene che scavo troppo poco i personaggi. C’è chi sostiene che do per scontato che i lettori ricordino le cose che ho detto una sola volta (ma ripetere in continuazione non mi sembra che migliori la prospettiva). Il punto è che cerco di rendere visibile il personaggio attraverso le cose che gli succedono piuttosto che attraverso dichiarazioni continue di quel che pensa. E preferisco mostrarlo attraverso le sue azioni, se ci riesco.
Lascio, spero, spazio all’immaginazione e all’interpretazione.
D’altronde è questo che rende leggere più bello che altre cose. Ciascuno di noi può colmare quei piccoli spazi di ‘non detto’ con ciò che la nostra fantasia e la nostra sensibilità ci suggeriscono. Altrimenti tutti i libri saranno uguali. Tutti i personaggi gli stessi. Tutte le svolte fondamentalmente identiche e tutti i plot studiati in modo che l’inizio abbia determinati criteri, il colpo di scena sia a pagina 144 e la conclusione, possibilmente con bacio (smack), a 291. Per non dire poi che i libri debbano avere necessariamente 300 pagine scritte larghe. Insomma, avremmo libri tutti uguali. E sarebbe un vero peccato.
Vi lascio con una frase di non ricordo chi, ma che rende molto l’idea:
La nave è al sicuro dentro al porto, ma non è stata costruita per stare dentro al porto.
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