Il Senno sulla Luna

Dunque… ho visto che molti si confrontano negli ultimi anni con la questione “Fantasy Italiano”. Voi che ne pensate? Secondo voi esiste o no? Lo so, lo so… le opinioni in proposito sono molte e variegate così io vorrei provare ad affrontare la questione qui, dove (spero) non darò fastidio a nessuno, per esporvi il mio semplice punto di vista. Se non vi interessa il ‘papiro’ che segue siete ancora in tempo per andarvene… Pronti…? Via!

Va bene, comincio.

Fantasy è un modo ‘internazionale’ per chiamare il genere fantastico. E già da questo un osservatore qualunque ha l’impressione che non ci appartenga; il sospetto poi è acuito se il suddetto osservatore va in una libreria qualsiasi e si guarda intorno. Gli autori più amati del genere fantasy sono stranieri, principalmente anglofoni. Quindi la conclusione apparente è che il fantasy sia un genere ‘estero’.

A questo punto i più volenterosi potrebbero essere portati a dire: ehi, ma allora perché non facciamo un fantasy all’italiana? Bè, questo ragionamento potrebbe forse anche andarmi bene se, e dico se, il fantasy fosse davvero un genere estero, ma secondo me così non è. Il fantasy, il fantastico, non ha confini per sua stessa definizione.

Certo, il pubblico dei paesi anglosassoni è (in genere) molto più ‘abituato’ a storie fantastiche ed epiche, ci sono molti più scrittori che se ne occupano, da moltissimo tempo… ma questo è quanto. Chi scrive o prova a scrivere fantasy sa che avvicinandosi a questo genere ognuno ne darà un’interpretazione propria, rifacendosi a questo o ispirandosi a quello, riprendendo tradizioni e cultura proprie ma anche altrui. Fondamentalmente quindi, il fantasy si distingue per autori e non per nazionalità.

Se per fantasy ormai intendiamo quasi esclusivamente le storie cappa e spada con magia compresa nel pacchetto è però anche vero che comprende storie anche molto diverse. Guardando all’Italia anche non recente, come definireste Collodi e il suo Pinocchio, che hanno superato non da oggi i confini nazionali? E come Ariosto col suo Orlando Furioso? O alcuni meravigliosi racconti di Buzzati?

La domanda quindi è: quando abbiamo deciso che il fantastico non faceva più per noi? Che eravamo troppo seri per lasciare vagare la mente nel mondo delle possibilità e per smarrire il nostro senno sulla luna?

Insomma… potremmo anche ammetterlo. Molti fra coloro che non leggono fantasy o dicono di aborrirlo non hanno neppure mai fatto un tentativo di avvicinarvisi per una sorta di stravaganza personale. La stessa che impedisce di leggere fantascienza che non sia considerata ‘di riflessione’. Una narrativa di semplice intrattenimento in questi ambiti viene messa da parte con un sorriso. La si considera quasi esclusivamente un genere per piccoli… Ho sentito personalmente chi, in libreria, scarta a priori gli scaffali incriminati sussurrando con aria superiore: “Sei adulto e leggi quella roba lì? Ma quando ti decidi a crescere?”

È come se dicessero: “Già. Purtroppo passi un’età in cui leggerai di cose assurde e inesistenti, ma poi finalmente crescerai, diventerai una persona seria e leggerai saggi o alta poesia o letteratura o trattati di fisica quantistica e filosofia, ragion per cui: perché perdere tempo qui?”

Ebbene, ve lo dirò con le parole di uno scrittore (manco a dirlo: estero) molto amato:

“Non c’è niente come trascorrere un po’ di tempo dentro la testa di un alieno per ricordarci quanto poco divida ciascuno di noi dagli altri”, N. Gaiman, Introduzione in Il cimitero senza lapidi e altre storie nere, Oscar Mondadori.

E analogamente, se niente come un viaggio nello spazio ci ricorda quanto siamo piccoli, nulla come le terribili avversità in un fantasy ci fa capire che siamo più resistenti di quanto crediamo.

Quelle del viaggio e della ricerca, quella dell’equilibrio incrinato da restituire al mondo e dei mostri da affrontare sono tutte metafore e non sono certo affrontate solo dal fantasy. Sono grandi temi, lo so, persino troppo complessi. Ma la cosa a cui il lettore un po’ snob (mi scuserete…) non pensa quasi mai è che gettarsi in questo mondo dove tutto deve essere inventato di sana pianta e definito in modo coerente è difficile tanto quanto lo è documentarsi per una accurata ricostruzione storica basata su fatti accertati… non solo, fantasy significa muoversi in un mondo nuovo eppure echeggiante di tutti i milioni di altri racconti e libri già scritti e di un’epica che ormai è letteratura. Niente di meno. Insomma, un confronto che rischia di far arretrare spaventato chiunque… perché davvero occorre ricreare un mondo ‘estraneo’ ma che deve avere una profondità vera e tangibile nelle pagine del libro; un mondo che permetta di esplorare, ma che non esageri aprendo un baratro senza fondo e che (salvo casi a parte) non può e non deve sfruttare gli istintivi ricordi di scuola, e anzi deve crearne, in brevissimo tempo, di propri.

Si tratta di un’impresa di non poco conto, ma non poniamoci da soli entro confini che in realtà non ci sono. Dire fantastico non significa necessariamente magia né magia significa che si possano risolvere le questioni del libro in modo illogico. Il fantastico consente molto ma non tutto. Costruita bene anche la cosa più assurda può avere un senso… per fare un paragone cinematografico: gli effetti speciali di Matrix sarebbero stati del tutto fuori luogo in un film dalla struttura diversa ed è stata necessaria gran cura per poter ottenere un buon risultato.

Bè, lo stesso vale anche nella scrittura, di qualsiasi genere. Anche nel fantastico. In senso ampio, a mio parere, questo genere di lettura è ampiamente internazionale; può piacere ovunque perché sfrutta l’elemento sorpresa, ci meraviglia ed è comprensibile a tutti perché si fonda su una ‘base comune’ a ogni essere umano e ci mette tutti sullo stesso piano. E restando alla narrativa di evasione (di cui io tento di occuparmi…), ciascun autore, di qualunque nazionalità, scrivendo in ambito fantastico potrà trarre leale ispirazione da un immenso patrimonio che appartiene all’umanità. Un patrimonio di leggende, saghe, storie vere, miti e tradizioni che ci sono giunte da un lontano passato e che sono alla base di ogni racconto, anche quando non le riconosciamo perché nel nostro piccolo mondo non ne abbiamo mai sentito parlare. Leale ispirazione, appunto.

Chi scrive è sempre figlio di ciò che ha letto; deve essersi appassionato a qualcosa per desiderare di provare a scrivere. E dunque è naturale che il fantastico si ispiri alle saghe nordiche, alle storie leggendarie di re o al Mabinogion o a chissà cos’altro, comprese le leggende dell’antichità in generale… e così un libro di avventure di viaggio potrà sempre essere paragonato all’Odissea o all’Eneide e uno di guerra all’Iliade, uno di pirati ricorderà Stevenson o Salgari. D’altra parte :

 “Certo, noi ci troviamo in condizioni di inferiorità rispetto agli antichi. Le frasi migliori sono state tutte dette: «Il dado è tratto», «Datemi una leva», eccetera. I greci di Senofonte dissero «Mare, mare!». Cristoforo Colombo: «Terra, terra!». Sono disponibili: «Fiume, fiume!», «Monte, monte!», «Lago, lago!»”, A. Campanile in In campagna è un’altra cosa, Bur

La stessa cosa, con uguale ironica freschezza, potremmo dirla nel campo del fantastico. Sono moltissime le cose già dette, le storie già raccontate, eppure cerchiamo nuove avventure fantastiche e ancora ne scriviamo! A volte seguiremo certe orme, altre percorreremo sentieri nuovi, ma sempre con nuovi personaggi, differenti caratteri e ambienti diversi; l’importante è continuare a cercare.

Per questo secondo me occorre evitare di sedersi là dove sono tutti gli altri e limitarsi a guardare il paesaggio, ma anche, per contrasto, cercare senza requie l’assoluta originalità sperando che ci dia il ‘bollino’ dei veri autori.

Spesso in questi casi il risultato è che ci si allontana dai canovacci classici e li si rinnega senza seguire alcuna scintilla, finendo per essere più banali che mai. Anzi, la mescolanza diventa troppa e crea confusione. Quando ci si decide a puntare sulla semplicità di narrazione, spesso si eccede, spogliando il testo di ciò che lo avrebbe reso più sporco e ruvido ma anche più singolare e chissà come (e ce ne stupiamo?) alla fine il testo non funziona. Forse è perché il fantasy può essere epico e fiabesco e magari proprio per questo arrivarci dritto al cuore prima di un testo filosofico; ma per farlo deve avere il suo onesto carattere di fantasy. Se lo ha, può essere anche complesso e ‘duro’ e conquistarci senza alcuno sforzo.

Come definireste esattamente questo genere, insomma? Come consigliereste di avvicinarvisi? L’unico modo vero, secondo me, è non porre recinzioni.

Ogni autore tende ad avere un suo tipo di narrazione; vedo tomi di 800, 900 pagine fitte e libretti di 30. C’è chi si dedica al fantasy tolkieniano chi ad un fantasy più moderno; chi si dilunga di più, chi in tre parole è riuscito a rendere l’atmosfera.

Il fatto è che il fantastico è sempre fantastico e una scelta non inficia l’altra; se un libro non ti fa sentire lo scorrere delle pagine può essere anche lunghissimo e parlare in tre parole di una storia lunga e complessa la rende trita e banale come un riassunto svogliato. Al contrario, allungare una storia breve solo per renderla più aderente ai canoni della ormai classica ‘trilogia’ non la rende migliore, ma soltanto una minestra annacquata.

Questo vale per tutti i libri, in realtà, e non dico nulla di nuovo.

Ma come lettrice vorrei che non ci fissassimo sul fantasy intendendolo per il prodotto un po’ ingenuo, solo lettere esotiche, principi predestinati alla gloria e eroi perfetti o principesse in pericolo, armi mistiche e incantesimi che risolvono miracolosamente problemi della trama magari con l’aiuto di maghi e, perché no, di dèi simili a quelli del pantheon classico. Anche se il problema non è in questi personaggi.

Come in ogni libro è il Mondo in cui si pone i personaggi e ciò che loro stessi fanno che li qualifica. Il modo in cui li si (non) descrive che li slega dal proprio territorio e li rende non umani. Tanto che finiscono per suonare stupidi quando dovrebbero apparire intelligenti e perfetti quando dovrebbero essere invece imperfetti.

Se scriviamo un giallo non basta prendere un morto e un investigatore più o meno brillante per fare un buon libro e per i gialli non stiamo a porci il problema del prodotto ‘italiano’ o ‘estero’. Siamo consci in partenza che quegli elementi ci saranno e torniamo a cercare l’intrigo e il mistero; ci piace che la mente umana lo risolva quasi senza lasciare ombre!

Ora: in cosa differiscono queste storie tra sé? In poco e in moltissimo… come per i fantasy o i romanzi storici, o la fantascienza. Personaggi. Ambientazione. Stile della narrazione… fate un elenco lungo quanto volete ma il canovaccio della storia si ripete quasi sempre e ci piace così. Questo non significa si parli di piatti stereotipi. Né che gli orizzonti di chi scrive siano limitati, anzi! Tutt’altro! Dice solo che a fare un buon libro (dando per scontato un linguaggio adeguato alla storia) sono un buon personaggio e una buona ambientazione: entrambe le cose, non una sola.

Se riusciamo a dar vita a questo, il pubblico cercherà quelle storie. Forse perché, per dirla alla Hitchcock, in fondo sa che l’immaginazione è più importante della logica: la sola logica ci renderebbe dei robot in grado di ubbidire alle tre leggi, ma con immaginazione e logica insieme, potremmo riuscire a crearli, quei robot. Senza la stretta collaborazione tra immaginazione e logica nessuna invenzione che oggi conosciamo sarebbe mai giunta nelle nostre mani. E nessuna opera d’arte. Non ci saremmo mai ispirati all’occhio umano per avere una macchina fotografica né avremmo mai visto la terra dallo spazio o i fondali marini con i moderni Nautilus.

Forse è perché avverte questo che la gente ama questi generi, nonostante tutto. Ed è per questo che a parere mio il fantasy non può e non deve avere nazionalità.

5 risposte a “Il Senno sulla Luna”

  1. Condivido appieno…ma purtroppo lo snobismo degli “intellettuali” un pochetto prevenuti viene aiutato non poco da certe copertine (mi sovvengono quei due libri di Robin Hobb..bellissimi, ma quelle copertine! Mi vergogno ancora a tirarli fuori in treno!) in cui abbondano Signorine seminude, Eroi ululanti alla luna, Spade sguainate e così via…non so se gli illustri illustratori si siano mai soffermati a pensare alla praticità di combattere/cavalcare draghi ecc. in stato desnudo (personalmente, almeno una cotta sopra qualche straterello di cuoio sarebbe più opportuna, ma che ne so io?), ma ciò secondo me non aiuta di certo! 😉

  2. “Insomma… potremmo anche ammetterlo. Molti fra coloro che non leggono fantasy o dicono di aborrirlo non hanno neppure mai fatto un tentativo di avvicinarvisi per una sorta di stravaganza personale. La stessa che impedisce di leggere fantascienza che non sia considerata ‘di riflessione’. Una narrativa di semplice intrattenimento in questi ambiti viene messa da parte con un sorriso. ”

    A tal proposito ti consiglio di leggere “La leggerezza” di Italo Calvino, in “Lezioni Americane”. Io l’ho trovato a dir poco illuminante: “scusa” e “giustifica” la fantasia in modo quasi scientifico.
    Comunque, sono pienamente concorde: oltre al fatto che, il fantasy, una sua filofosia ce l’ha, non è proprio di puro intrattenimento. 🙂

  3. “Letteratura d’evasione”.
    Ancor più del termine “fantasy”, il termine “evasione” fa gridare allo scandalo schiere di intelligenti benpensanti. Persino alcuni intellettuali appassionati di fantasy sembrano segnare le opere leggere con il marchio dell’indegnità.
    Nulla di cui preoccuparsi, non si tratta che di una buona dose di ipocrisia. Quella di evadere ogni tanto, altro non è che una necessità ed un piacere per tutti.
    Farlo con un libro, d’altro canto, è qualcosa che richiede una certa cultura. Questa sembra mancare un po’ a questo paese, che parte svantaggiato, forse, rispetto ai paesi anglosassoni. In Inghilterra si trovano pressoché tutti i libri che si cercano, e in edizione economica. Qui leggere costa molto di più e i libri spesso non si trovano. Se questo accade perché qui non si legge abbastanza o viceversa non saprei. E’ un cane che si morde la coda. Ad ogni modo questo si riflette sulla difficoltà degli editori di investire sugli autori italiani, in favore di più collaudati autori stranieri.
    Tra la letteratura d’evasione, che poi è quella che, a guardar bene, vende di più, io amo il genere fantastico perché (evadere per evadere) si svincola anche dalle leggi fisiche !!! 😀
    Non mi importa se l’autore è italiano o straniero, basta che risponda ai miei gusti. A tal proposito, speriamo che pubblichino presto un Miki Monticelli, perché ho appena finito anche la Pietra Nera e ora sono a corto di opere di questa autrice. Me ne rimane un solo libro striminzito. Che faccio, lo devo centellinare?

  4. Bel post, appassionato. 🙂

    Ed ora non posso evitarti il mio sproloquio sulle impossibilità ed il fantastico….vabbè, mi limito a mettere il link:

    http://www.valberici.eu/archives/321

    😀

  5. Per giove, quanti commentoni! 😀 Vado in ordine cronologico per rispondervi…

    @Aramis: Già, i costumini discinti sulla tua ‘edizione estera’ non giovano 😀 😀 😀 e nemmeno le linde pelli di guerrieri senza neppure una minuscola cicatrice o con i capelli sempre in ordine, ma dopo tutto sono solo copertine… anche se li fanno somigliare a romanzi rosa… ehm…

    @Mimmi: Sì, Calvino… è Calvino. 😀 Ed il fantasy è un po’ filosofico per sua stessa natura ma la parte ‘impegnata’ è, come dire, quasi ‘sottocutanea’. E la maggior parte di ciò che si scrive/legge è principalmente d’intrattenimento… insomma, viva l’onesto gioco di specchi che anima il fantastico e il fantascientifico così come anima gialli e opere storiche!

    @Incantatore: Forse c’è anche un po’ di pigrizia in noi che animiamo l’Italico Mercato. Leggere implica uno sforzo di immaginazione per ogni lettore. In un film o in un videogioco ti forniscono già tutto, passi per l’immaginazione di qualcun altro e ti ritrovi davanti la faccia ruvida e sporca del protagonista come anche l’atmosfera post-atomica dell’ambiente… e d’altronde il problema di cui parli riporta sempre allo stesso dramma: è nato prima l’uovo o la gallina? O, per dirla coi lillipuziani, l’uovo si rompe dal lato stretto o da quello largo…? *.*
    Ehm… ma sei tu che tempesti la Piemme di richeste di pubblicazione di veri Miki Monticelli col bollino DOCG? 😉
    Bè, credo che dovrai avere un pochino di pazienza. Davanti a me la pila dei lavori under construction e già costruiti e in revisione(ecc) cresce con una certa spaventosa costanza, ma il povero mondo non è pronto per l’invasione… ri-ehm… 😀 Comunque, come piccola anteprima… se tutto va bene quest’anno dovrebbe uscire qualcosa. Vi farò sapere quando sarò più sicura del quando/come/se. In ogni modo: GRAZIE per la costanza con cui ti sei sorbito i miei papirozzi! Mica da tutti! 😀

    @Valberici: Appassionato post? Mi piace! Come un’arringa alla Perry Mason?
    Bellissimo il tuo sproloquio :D!!! Eh, sì! la tua anima filosofica ha radici che vanno a fondo!!! In effetti è verissimo, il fantasy rompe ogni schema, la fantascienza quasi… e l’improbabile è appunto improbabile ma non necessariamente impossibile… mi viene in mente Conan Doyle…

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