Il Bagaglio

No, non sto parlando del Bagaglio con la maiuscola, quello fantastico di Pratchett con le gambette, ma del bagaglio di parole che ognuno di noi mette da parte, lentamente, in una vita di letture più o meno interessanti… Insomma, l’altro giorno avevo bisogno di una parola che mi sfuggiva e così sono andata a cercarla nel mio personale bagaglio.

Si tratta di un baule che tengo a fianco del computer, uno di quei vecchi bauli da viaggio; è piuttosto grande, ma non perché io abbia un bagaglio lessicale così ampio, quanto piuttosto perché non butto mai via nulla e così finisce che all’interno ci sono ‘strambottoli’ dei più diversi generi insieme a parole ‘nobili’ e a parole ‘vecchie’, talmente vecchie che sul dizionario sono affiancate dalla crux. Ci trovo parole inventate e parole impolverate, parole inutili e parole morte. Origini di parole e parole che potrebbero essere, un giorno, forse…

Insomma, ho aperto il baule e… accidenti!

Il mio patrimonio di parole messo da parte negli anni s’è agitato come il mare in burrasca, ha preso un respiro d’aria fresca e via… fuori, verso la libertà, come formiche impazzite!  Mi sono sentita un po’ come una sorta di novello Odisseo che apriva l’Otre dei Venti…

E così, inutile dirlo, non ho trovato quel che cercavo, anzi ho passato tutto il giorno a recuperare parole che al momento non mi sarebbero state di nessuna utilità. Ho dovuto spostare mezza mobilia, i quadri alle pareti, guardare in fondo agli armadi e nei cassetti… qualcuna s’era persino infilata in un calzino, desiderosa solo di spuntar fuori all’improvviso, in una frase in cui non ci sarebbe entrata un fico secco… insomma, non vi dico. Una vera faticaccia!

Credo di averle recuperate tutte, alla fine, forse ne ho raccolta anche qualcuna sfuggita al baule di qualcun altro, non saprei, ma alla fine della giornata mi sono ritrovata con un gran cumulo di parole che non mi servivano e col cursore, sul video del piccì, che ancora aspettava che immettessi quella che mi serviva. Avete presente?

, ho pensato, non è possibile… se se ne sono uscite tutte a farsi un tour, devo aver visto anche quella che mi serve… devo averla riacchiappata. Forse era quella che ho ripreso dietro il terzo ramo a sinistra del pothos… o quella finita sotto lo scanner… forse era lei, nel tappo della penna?

No… no… c’era qualcosa che non tornava. Io quella parola non l’avevo proprio vista. Eppure ero certa di averla messa nel baule, chissà quanto tempo prima…

E così mi sono decisa, piano piano, lentamente, ho slacciato le cinghie e riaperto il coperchio. C’è stato un sospirante ronzio ma stavolta le parole erano troppo stanche per scapicollarsi fuori. Ce n’era qualcuna che russava, addirittura.

Le altre mi hanno degnato d’una occhiata corrucciata, come se mi dicessero: Che stiamo a fare qui, non potresti usarci un po’ più spesso? Con la coda dell’occhio ne ho vista una che aveva ancora abbastanza energia e cercava di strisciare fuori, senza farsi vedere. L’ho ripresa e le ho promesso che l’avrei usata presto. Mi ha guardato non troppo convinta ma si è rassegnata e io ho continuato a cercare; in quella marea di occhi che mi fissavano ansiosi o rancorosi, mi sono accorta che c’era un gruppetto di parole, in un angolo, che non mi guardava. Probabilmente non si erano neppure accorte che avevo aperto il baule la prima volta. Non gliene importava proprio nulla di me né del mondo fuori dal baule. Erano impegnate in una partita a carte intorno ad un tavolo da gioco vecchio stile.

E la mia parola era lì, con in mano le sue carte e l’aria di chi aveva un asso nella manica.

“Chi vince?” ho chiesto. Sono stata fissata con dispetto. Stavo ovviamente disturbando. Così mi sono trovata a tossicchiare, imbarazzata. “Scusate… non intendevo… ma avrei bisogno che…”

“ Va bene, va bene… arrivo” ha detto con un sospiro flemmatico la mia parola. “Ti ignorano per anni e poi, quando cominci a trovarti bene nel tuo bel dimenticatoio ecco che vengono a tirarti fuori… e non hanno neppure la pazienza di aspettare che la partita finisca! Insomma… che posso fare per te?” mi ha apostrofato alla fine, salendo impettita e borbottante sulla mia mano, come un piccolo mostriciattolo bitorzoluto.

“Ho bisogno che tu faccia qualche ‘prova’ per me” gli ho chiesto.

“E sia” mi ha concesso. L’altra parola, quella che aveva tentato la fuga, ha sospirato sconsolatamente per la fortuna della collega e io non sono riuscita a trattenere un sorriso.

“Andiamo, anche tu…” l’ho chiamata.

Mi è saltata subito sulla spalla, con la velocità di un razzo. Ho richiuso il baule e finalmente mi sono rimessa al computer. La parola giusta è andata al suo posto perfettamente… si è aggiustata il collo della giacca e ora se ne sta lì, fotografata sulla pagina, a sorridere con aria sorniona. L’altra… bè, per dare soddisfazione all’altra ho dovuto dar fastidio a voi.

L’ho messa in questo articolo. L’idea di essere finita in rete l’ha resa così orgogliosa che avrà da raccontare quell’emozione alle altre nel baule  per un bel po’. Non che la si possa usare molto spesso la parola… ‘strambottolo’… per il resto, quello che volevo dire era semplicemente che quella che ti serve è sempre l’ultima parola a venirti in mente.

Nonostante ciò… pur con tutte le altre a disposizione, anche tra mille sinonimi diversi perduti in quel baule disordinato, quando la trovi la riconosci per quel suo certo non so che. Perché, dopo tutto, in quella frase, solo lei ha quel suono particolare…

😀 😀 😀

8 risposte a “Il Bagaglio”

  1. Che racconto simpatico! 🙂 (Io parteggio per le parole infilate nei calzini :-))

    “pur con tutte le altre a disposizione, anche tra mille sinonimi diversi perduti in quel baule disordinato, quando la trovi la riconosci per quel suo certo non so che. Perché, dopo tutto, in quella frase, solo lei ha quel suono particolare…”

    Ti sembrerà strano, ma pure io, pochi giorni fa, ho scritto un post che tratta più o meno lo stesso argomento, ovvero l’attenzione con cui si devono scegliere le parole da mettere in una frase (naturalmente, mi è venuto molto meno bello).

  2. A me piace anche quella che tenta furtivamente di strisciare via… 🙂
    Ora vado subito a leggere il tuo post!

    Letto! 😀
    È davvero un bel post e ti ho lasciato un messaggio(di cui riporto qualche osservazione anche qui, se non ti spiace)! Hai ragione, le parole suonano in modo diverso a seconda di come sono usate. Come ti dico nel commento le note, i suoni base, dopo tutto sono limitati, ma ne escono fuori sinfonie complesse. Lo stesso vale per le parole.
    Per quel che riguarda me, comunque, non sono tanto le parole che ho bisogno di sentir scivolare su carta, anche senza un ordine, solo per il gusto di sentirne la forza, come fai tu. Per me sono le storie. Non è detto che ci riesca, perché si tratta di una battaglia, in fondo, ma le parole sono il mio mezzo per raccontare storie. Posso vincere e perdere… Non mi confrontassi con le parole tenterei con i disegni, non ci riuscissi nemmeno così, dovrei trovare qualche altro modo 😉
    Devo aver già usato il paragone… ma scribacchiare una storia è come quando si fa un cruciverba. Sbagliato un incrocio rischi di sbagliare tutto lo schema. Per questo le parole nel baule sono importanti per me… non solo per il gusto della parola, che pure è bello, ma per cercare di non fare torto alla storia, usando quella che rende meno l’atmosfera. Una cosa complicata, poi, perché interviene spesso anche il gusto e la ‘sensibilità’ personale alle parole e non tutti faremmo la stessa scelta!

  3. Io faccio distinzione tra scrittori e narratori, senza peraltro ritenere che uno dei due mestieri sia “più nobile”.
    Credo che tu sia una narratrice, perchè fai “prevalere” la storia nella sua interezza.
    Uno scrittore invece non vuole raccontare una storia ma trasmettere un messaggio e per farlo ha bisogno di tutto il “potere ” delle parole e del linguaggio.

    Mia opinione personale, ovviamente 😉

  4. Eh, sì… mi sa che hai proprio ragione! 😀

    Comunque la scrittura è sempre un mezzo: per trasmettere un messaggio complesso(attraverso una trama o semplicemente con un saggio/articolo) o raccontare una storia; anche solo per intrattenere.

    Che poi ci siano i poeti, che grazie alla loro padronanza della lingua e dei significati nascosti delle parole riescono ad emozionarti in un solo rigo(qualsiasi sia la metrica), questa è un’altra storia…

  5. MAH ?!?
    Certo che sei “strambottola” !!!
    😉

    Ora potrei chiederti di emozionarmi con una frase di senso compiuto contenente “duodenale”, “gaglioffo” e “ipotenusa”…
    😉 😉

    A parte gli scherzi, capisco quel che vuoi dire. Specialmente leggendo mi è capitato di imbattermi in una parola scritta da qualcun altro, di sentirne l’efficacia e di domandarmi come mai io non la uso mai. E anche di provare a usarla.
    Il mio capo una volta mi definì “riottoso”. Termine insolito, ma ormai, scherzosamente, ne ho fatto una bandiera.

    Saluti,
    Il Riottoso.

  6. Bada che potrei anche prenderti sul serio, Riottoso… prima o poi potrei finire per scrivere una pepitucola con come soggetto un gaglioffo, oppure la buona vecchia cara ipotenusa… magari per duodenale avrei qualche perplessità però…
    😀

  7. …posso proporre (ok, non sono un’aùlica scrittrice, ma il duodeno no ha più misteri per me..):

    …quando quel gaglioffo dell’Ingegner Morte mi aggredì, si beccò l’ipotenusa della mia squadra di acciaio esattamente nell’ansa del duodeno…

    Lo so, le ipotenuse fanno moolto meno male degli angoli acuti, ma l’Ing. Morte è notoriamente allergico all’acciaio…

    😉

  8. Tu scherzi, ma prima o poi annoierò tutti riportando la breve historia dell’Ing. Morte! E, naturalmente, dirò a tutti che la colpa della conservazione di cotale storia è tutta tua!!! Yak, yak, yak…! ;D

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